Liste Pd, battaglia tra correnti. Orlando minaccia: mi tiro fuori

Ultimatum delle minoranze sui nomi. I renziani: la solita tattica

Il ministro Andrea Orlando

Il ministro Andrea Orlando

Roma, 25 gennaio 2018  Le due minoranze presenti nel Pd – quella che fa capo al ministro Orlando (111 parlamentari uscenti, 20% al congresso) e quella che fa capo al governatore pugliese Emiliano (otto gli uscenti, 9% al congresso) – sono sul piede di guerra. Minacciano, gli orlandiani – come ha detto, furibondo e scuro in volto, lo stesso Orlando a un collega di corrente – di «disertare la campagna elettorale. Se Renzi continua a comportarsi così, le liste se le fa con chi vuole ma non con noi. Noi non ci candidiamo e non facciamo campagna elettorale. Voteremo per il Pd, certo, ma faremo da spettatori», ecco il warning di Orlando a Renzi. La sua area, del resto, è in rivolta, chiede almeno 60 parlamentari, di cui 38 in collegi sicuri: 30 nei listini e otto nei collegi. Le truppe di Emiliano, non meno agguerrite, fanno sapere che «noi, sotto i 20 posti, non scenderemo mai».  Al Nazareno derubricano la pratica minoranze al «solito tentativo di alzare la posta all’ultimo minuto» e replicano con l’offerta di 15/20 posti. Orlando ha già perso le staffe e i suoi oggi minacciano di disertare la direzione. In ogni caso, in base alle cifre prese dalle due minoranze al congresso, una fonte del Nazareno spiega: «Possono dire e fare quello che vogliono, ma avranno 15/20 posti sicuri Orlando e 5/6 Emiliano. Stop».  In ogni caso, oggi Renzi avrà prima con Orlando e poi con Emiliano due incontri chiarificatori.   E così, anche ieri è stata una giornata di passione, al Nazareno, dove Renzi è asserragliato da giorni con i suoi «Angeli Sterminatori» che hanno potere di vita e di morte sui nomi da inserire in lista, anche se l’ultima e definitiva parola spetta al segretario. Si tratta del ministro Lotti, di Guerini, del capogruppo dem Rosato, di Piero Fassino e del ministro Martina. La giornata passa tra riunioni fiume, telefoni bollenti, Renzi che intima ai suoi di «non parlare con i giornalisti» e scene tragicomiche.  Tipo quando i tre leader della minuscola lista «Insieme» (Nencini, Bonelli e Santagata) si presentano al Nazareno per una riunione che credevano decisiva, ma vengono fermati sull’uscio: «Abbiamo altro da fare. Ripassate domani».  Del resto, nel Pd ogni giorno ha la sua pena. Le voraci pretese dei «nanetti» alleati sono state, appunto, rimbalzate a oggi. Hanno chiesto, tutti e tre, un numero siderale di collegi blindati, ma finirà con 6/8 seggi a «+Europa» (Bonino), 6/8 ai centristi di «Civica e Popolare» (Lorenzin) e tre seggi, non di più, ai piccolissimi di «Insieme».    Da giorni, inoltre, vanno avanti le proteste dei territori, Emilia-Romagna e Toscana su tutte, contro i paracadutati. Ministri anche del Pd, come Fedeli a Piombino, o la Lorenzin a Prato, i dem locali non li vogliono. I radicali Magi e Della Vedova ballano da giorni, Nencini e Bonelli pure. Renzi ci ha messo una pezza solo su Casini, confermato a Bologna. Le Marche, gestite in modo prussiano da Matteo Ricci, dopo aver preso in carico Minniti a Pesaro, si accolleranno pure Lorenzin. Ma è la Toscana – dove, sostengono il senatore Marcucci e il segretario Parrini, negando anche l’evidenza, «non c’è nessuna rivolta» – che dovrà portare il cilicio più stretto di tutti, tra renziani del giglio magico e nanetti alleati. L’Emilia-Romagna, almeno, è stata ricompensata con due candidature ex-Ds doc: Fassino capolista nel proporzionale Camera contro Bersani, e Carla Cantone, ex segretaria dello Spi-Cgil, capolista nel listino proporzionale del Senato.  Ma anche al Sud sono dolori. Il segretario siciliano, Fausto Raciti, ha scritto a Renzi dicendogli che «qui la situazione è esplosiva». E in regioni come Sardegna, Campania e Calabria, liste e candidature sono ancora tutte in alto mare.