Ministro degli Esteri o leader di partito. Il futuro di Conte tra Centro e Cinquestelle

L’avvocato ieri ha avuto un lungo incontro con Draghi a palazzo Chigi. I due hanno discusso i dossier e le emergenze in corso

Giuseppe Conte (Ansa)

Giuseppe Conte (Ansa)

Il tormento è la cifra dell’uomo. E il tormento lo accompagna da mesi. Prima, compresa l’altra notte, sugli innumerevoli passaggi della crisi, fino alla conta al Senato e alle dimissioni ("che forse avrei dovuto non dare"). Ieri, per l’intera giornata, sul dopo Palazzo Chigi e dunque sul futuro immediato e a medio termine: entrare, beninteso "candidandosi" (come si fa notare), nel governo di Mario Draghi, come ministro degli Esteri, o dedicarsi da subito alla costruzione del nuovo-vecchio partito?

L’uomo del tormento è Giuseppe Conte. Assorbita, tra incredulità e più di un rimpianto, la botta (temuta e inaspettata al tempo stesso) della fine della guida dell’esecutivo giallo-rosso, l’avvocato del popolo ha passato la giornata a fare gli scatoloni, come si dice in gergo. Ma tra libri, carte e ricordi da sistemare, ha avuto modo di sentire anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e di incontrare Mario Draghi per ben 75 minuti. Un colloquio garbato e non rituale tra due signori, come raccontano e come è facile immaginare, considerando l’educazione e lo stile di entrambi gli interlocutori. E, d’altra parte, non c’è ragione per il professore di diritto catapultato sul tetto della politica per serbare rancore o risentimento nei confronti dell’ex governatore della Bce, che non ha sicuramente brigato per prendere il suo posto.

"Erano solo loro due, nessun altro nella stanza", spiegano fonti della Presidenza. Cortesia, discrezione, illustrazione dei dossier aperti e delle emergenze in corso (dai vaccini al Recovery Plan): è volata via così quell’ora e mezzo di faccia a faccia nello studio del presidente, quello studio che, peraltro, Draghi conosce bene per avere avuto infiniti colloqui con tutti i capi del governo che si sono succeduti dagli anni Ottanta a oggi.

Finito il colloquio, scatta la ridda di voci e rumors sul possibile incarico offerto da Draghi, magari con l’avallo del Quirinale, a Conte (ministro degli Esteri, vice-premier): indiscrezioni alimentate anche da chi, come Pier Ferdinando Casini, si guarda bene, però, dal metterla come offerta: "Magari parteciperà allo sforzo nazionale, candidandosi al ministero degli Esteri. Non c’è dubbio che le cose finiranno così, perché non credo che l’università senta tanto la sua mancanza". Anche perché non mancherebbero sollecitazioni da parte degli ambienti vaticani e di quelli di riferimento a non rimanere fuori dalla partita.

Certo è che, mentre da Palazzo Chigi si affrettano a smentire sia l’indisponibilità di Conte a ruoli ministeriali sia, però, anche ogni interlocuzione sugli incarichi (ed è verosimile che Draghi non si sia spinto in questa direzione, anche per non urtare subito le suscettibilità del centro-destra), i pochi che hanno avuto modo di entrare in contatto con Conte non lo descrivono a favore di un governo tecnico pur nel rispetto di una personalità di alto profilo come l’ex numero uno di Francoforte.

E intravedono, semmai, nel premier uscente, la tentazione dell’ingresso in politica. Ma dove e come? E qui torna il tormento: giocare la carta della politica in chiave elettorale con i 5 Stelle, mettendosi alla loro guida (entrando in rotta di collisione con Luigi Di Maio)? O dare vita a un suo partito centrista, sulla base di nuovi gruppi parlamentari di ex grillini e no? È troppo presto per decidere una via o l’altra, tanto più che le prossime ore potrebbero riservare ulteriori sorprese. Ma domani, una volta che Draghi avrà preso il via, potrebbe essere anche troppo tardi. Il tormento riappare e l’avvocato non vi si sottrae.

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