Roma, 7 novembre 2023 – Ventiquattro ore dopo l’annuncio che ha colto di sorpresa tutti, ieri sera è arrivato il testo completo dell’accordo tra Italia e Albania sulla esternalizzazione dei richiedenti asilo. Non differisce molto da quanto illustrato in conferenza stampa da Giorgia Meloni e Edi Rama, però nei quattordici articoli si chiariscono alcuni alcuni punti che erano rimasti sul vago, a partire dalla durata dell’intesa: cinque anni rinnovabili automaticamente salvo che almeno sei mesi prima della scadenza una delle due parti si sfili. Viene confermata che nei centri del porto di Schenjin e nell’area di Gjader non ci potranno essere contemporaneamente più di 3000 migranti e tutti i costi saranno a carico dell’Italia mentre, per quanto riguarda la sicurezza, all’Albania concerne il mantenimento dell’ordine nel perimetro esterno delle strutture, mentre all’Italia spetta garantirla all’interno. Soprattutto, all’articolo 9 si specifica che "per assicurare il diritto alla difesa" si consente l’accesso alle strutture agli avvocati, ai loro ausiliari, alle organizzazioni internazionali e europee.
Non si sa se i dettagli basteranno a soddisfare l’Europa che ha chiesto chiarimenti anche per studiare il da farsi, ma con il testo del trattato ora sul tavolo quel pronunciamento che sarà inevitabile anche per presidente Ursula von der Leyen, la principale alleata di Giorgia Meloni, aveva evitato di prendere posizione. Per Bruxelles spinosa è la questione dal momento che non solo si tratta di esternalizzare un hotspot ma di dislocarlo in un Paese che non fa parte dell’Unione, anche se proprio il sostegno alla richiesta di Tirana di entrare a farne parte è la merce di scambio adoperata dall’Italia. Perciò l’Unione dovrà dire la sua anche sulla giustificazione italiana secondo cui trattandosi di migranti salvati in acque internazionali le regole europee non dovrebbero valere. Spiegazione fragile, secondo l’opposizione, dato che la nave è suolo italiano.
Già: la minoranza spara a zero. "L’accordo viola le norme internazionali ed europee", tuona Elly Schlein. "Siamo di fronte a una deportazione preventiva", fa eco Nicola Fratoianni. L’obiettivo è portare il caso in Parlamento. "Il governo illustri in aula questo testo", dice Alessandro Alfieri, capogruppo Pd in commissione Esteri al Senato. L’esito a favore del governo non è in discussione, ma la minoranza punta a far emergere attraverso il dibattito e il voto le falle del piano. A Palazzo Chigi non hanno ancora deciso il da farsi: dipenderà anche dalla forma che assumerà l’intesa sottoscritta. Se per mettere a terra il protocollo Meloni-Rama sarà necessario un disegno di legge, è chiaro che ne discuteranno le Camere. Se invece verrà tradotto in uno strumento che non ha bisogno di vaglio parlamentare si vedrà.
Del resto a mitragliare l’accordo non è solo l’opposizione italiana: quella albanese, che pure è di centrodestra, non è da meno. "Rama non ha nessun mandato a negoziare con nessun paese. L’Italia è un nostro alleato e partner, ma qui si tratta degli interessi nazionale", avverte il leader del Partito democratico Lulzim Basha. Tant’è: a impensierire il governo italiano non sono né la prevedibile sollevazione della controparte in casa né quella dell’opposizione albanese. E, a conti fatti, nemmeno l’Europa è la minaccia principale. Lo scoglio è interno, e riguarda i soliti requisiti costituzionali.
I ricorsi che certamente ci saranno batteranno soprattutto su quel versante. Partendo dalla norma che impone, in caso di privazione della libertà, l’intervento di un magistrato entro quarantotto ore. Per aggirare le critiche raccolte dall’Inghilterra sul piano Ruanda, il governo italiano ha sottolineato che i centri saranno comunque sotto giurisdizione italiana. Ma immaginare la trasferta permanente di alcuni magistrati, secondo molti, è fuori dalla realtà. "Già sono operanti giudici italiani in Albania per accordi stretti con Tirana nella lotta alla criminalità", replicano dal governo. Non ci sono solo i magistrati: vero è che il protocollo garantisce il diritto alla difesa, ma il costo della trasferta degli avvocati italiani chi lo paga? C’è poi la questione della separazione delle famiglie, come quella della divisione tra i migranti che provengono da paesi sicuri e gli altri.
Di certo, a Palazzo Chigi si sono messi di buona lena, spaventatissimi dall’ipotesi di ripetere pasticcio del decreto Cutro. Giorgia ha disperatamente bisogno di un risultato su questo fronte.
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