Venerdì 11 Luglio 2025
ANTONELLA COPPARI
Politica

Meloni in Senato spinge sulla difesa: "Se vuoi la pace, prepara la guerra"

Comunicazioni bis a Palazzo Madama, tra gli attacchi di Renzi e l’onore delle armi di Calenda

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, 48 anni, ieri in Senato con il ministro degli Esteri e vicepremier, Antonio Tajani, 71 anni

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, 48 anni, ieri in Senato con il ministro degli Esteri e vicepremier, Antonio Tajani, 71 anni

Lo scenario internazionale cambia con la velocità della luce, il dibattito in Parlamento non tiene il ritmo. Il passaggio al Senato si basa sulla relazione svolta dalla premier a Montecitorio lunedì: è obsoleta. Nel frattempo è successo di tutto. Giorgia cerca di adeguarsi ai tempi nella replica, citando la "tregua bilaterale tra Israele e Iran" ma non ne sa molto di più di chiunque legga i siti. All’ora di pranzo può solo augurarsi che regga agli ultimi missili che le parti si stanno lanciando mentre lei parla. Per il resto il ritornello è identico, unica novità la scelta di puntare sul latinorum per spiegare l’aumento delle spese per la difesa: "Si vis pacem, para bellum", se vuoi la pace, prepara la guerra.

Chi lo conosce, sostiene che al capo dello Stato quella citazione non deve essere piaciuta molto. Va in direzione opposta sia alla sua cultura giuridica che alla sua sensibilità cattolica. Di certo non lo fa notare alla premier nel tradizionale pranzo con mezzo governo che ospita al Quirinale prima del Consiglio europeo. È probabile che concordi con il giudizio, per una volta puntuale, di Elly Schlein: "Rispetto a 2000 anni fa il mondo ha fatto passi in avanti, preparare la guerra è il contrario di quello che serve". In tempi come questi non è certo su una citazione, per quanto poco apprezzata, che Sergio Mattarella si può formalizzare.

Nei 25 minuti di replica la premier, che ha il ministro degli Esteri Antonio Tajani seduto al suo fianco, prova a coniugare l’obbedienza ai voleri di Trump, che impone ai paesi Nato di moltiplicare, sia pur controvoglia, il contributo per l’alleanza atlantica, con un pizzico di sovranismo: "Le maggiori risorse devono andare prioritariamente ad aziende italiane". Ma è lei stessa ad ammettere che è complicato. "Siamo onesti: quanto producono le imprese italiane ed europee?".

La difesa del sovranismo è a tutto campo; Giorgia esclude che sia quello il morbo che indebolisce l’Unione: "A indebolire l’Europa sono state le scelte di chi l’ha governata". L’orgoglio nazionale non si spinge però sino ad avanzare critiche sul sovrano di Washington. Solo a sentir dire che l’amico americano è un agente del caos s’indigna. "L’invasione russa dell’Ucraina è del 2022: non c’era Trump. Il 7 ottobre è del 2023: non c’era Trump. Potremmo tornare alla Libia, alla Serbia e ad altri scenari: anche queste mi sembrano semplificazioni".

Come alla Camera, si sforza di evitare gli abituali corpo a corpo polemici, soprattutto nei confronti del Pd. Con Graziano Delrio largheggia in riconoscimenti: "Ha fatto un ragionamento interessante". Viene meno alla consegna che si è data un paio di volte. Non rinuncia alle consuete battute su Conte: "Vorrei tanto essere lui, invece sono Giorgia Meloni". Per poi ripetere che si è impegnato ("una firma è una firma") ad aumentare le spese per la difesa. "Sono falsità – risponde il leader M5s – non ho firmato nulla". Netta pure la replica a Renzi che l’accusa per la millesima volta di non contare niente: "Io non considero la politica estera fatta di photo-opportunity. Spesso non pubblicizzo le cose che faccio". L’oscar per l’autocontrollo lo guadagna quando la pentastellata Elisa Pirro tira in ballo la figlia Ginevra: "Anche lei crescerà e le chiederà conto di quello che ha fatto". La incenerisce con lo sguardo, ma si morde la lingua e passa oltre.

A differenza del giorno precedente, la postura dialogante un risultato l’ottiene: Carlo Calenda si dichiara "in larga parte" d’accordo con il governo. Non si spinge fino al punto di votare la risoluzione della maggioranza, ma nemmeno la boccia: si astiene. Il centrodestra invece, previa adeguata riformulazione, vota il testo di Azione. E lo fanno pure tre senatori del Pd: Pier Ferdinando Casini, Simona Malpezzi e Filippo Sensi. È uno scricchiolio al quale Elly dovrebbe prestare attenzione. Se c’è un piano sul quale può crescere una consonanza tra la premier e una parte dell’opposizione è la partita del riarmo. Quella sulla quale si è già consumata una dolorosa rottura tra il Pd e il capo dello Stato.