Pd, Martina si dimette da ministro. E attacca Di Maio: "Arrogante"

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Maurizio Martina a ''Porta a porta''. Dietro, una gigantografia di Salvini (Ansa)

Maurizio Martina a ''Porta a porta''. Dietro, una gigantografia di Salvini (Ansa)

Roma, 13 marzo 2018 - Dopo la maratona della direzione Pd, dal quale è uscito "segretario traghettatore" dei democratici, Maurizio Martina lascia il governo: "Da questo pomeriggio non sono più ministro dell'Agricoltura - afferma a Porta a Porta - per rispetto del ruolo istituzionale che ho ricoperto fin qui e del ruolo che sono chiamato a svolgere". Nessuno prenderà il suo posto, in questi sgoccioli di legislatura: "ci sarà un interim del premier", spiega Martina e poco dopo arriva la conferma di Palazzo Chigi. L'ex ministro twitta:

Quanto al futuro governo, l'ormai ex ministro, alla domanda se il suo partito fosse disponibile o meno a partecipare a un governo con tutti, risponde senza sbilanciarsi: "Noi che stiamo dal lato della responsabilità politica non abbiamo il diritto di strattonare il presidente della Repubblica e le sue prerogative". 

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Renzi prepara la riscossa

Ma non perde l'occasione di bacchettare il candidato premier a 5 stelle: "Se sto alle cose dette da Di Maio oggi, più che responsabilità ho visto arroganza: mi colpisce che chi vince, invece di dire dei sì, dice dei no". E specifica: "Le parole di Luigi Di Maio sono solo arroganti e per niente utili all'Italia. Altro che responsabilità. Insulta il ministro dell'Economia che ha garantito la tenuta del Paese e la sua ripartenza per poi predicare dialogo: una farsa. Di Maio dovrebbe accorgersi che il tempo della propaganda è finito". E un'altra stilettata: "Evocare il ritorno al voto segnerebbe la sconfitta di chi ha vinto le elezioni: suggerirei a Di Maio di abbandonare questi toni e di assumersi responsabilità piena di dire cosa fare senza giocare a mosca cieca". 

Tornando al futuro prossimo, riguardo a un possibile governo M5S-Lega, Martina è netto: "Confermiamo che i programmi di Lega e M5s sono irrealizzabili o perfino dannosi: non ho paura del confronto. Ma crediamo che il dovere di indicare la strada sia loro". E chiosa: "Non posso fare ipotesi generali sul futuro, ma so da dove il Pd deve partire, cioè dall'opposizione".

Quindi nessuna possibilità di un governo col Centrodestra? "Salvini stia tranquillo: non ci pensiamo nemmeno con il binocolo a un governo con loro. È l'unica cosa in cui sono d'accordo con lui".

 E visto che di alleanze si parla (si vocifera di un abboccamento tra M5S e il ministro della Cultura), il segretario dem mette un punto fermo: "Smentisco categoricamente che Dario Franceschini abbia avuto alcun contatto per la presidenze della Camera", afferma. "Siamo disposti a un confronto sulle presidenze. So bene che chi ha vinto ha l'onere e l'onore di indicare una prospettiva. Ma trovo giusto - aggiunge - ragionare con tutti secondo le prerogative che devono avere queste figure". 

Ma Martina il traghettatore, quando sarà il tempo, correrà per il posto di segretatio del Pd? "Ora devo fare un lavoro che è molto tosto e complesso. Poi vedremo...", si limita a rispondere.  Poi l'inevitabile autocritica, dopo la sconfitta elettorale: "Non ce l'abbiamo fatta a interpretare la paura e la solitudine dei cittadini - ammette Martina - Dire che M5s ha vinto nel Sud grazie al reddito di cittadinanza è una semplificazione: lì occorre una lettura molto più radicale di quello che serve".

Quanto all'ex segretario Matteo Renzi, che si è fatto da parte ma non troppo, Martina chiarisce: "Non ho nessun dubbio che Renzi debba continuare a dare una mano nel partito. Avrà commesso degli errori? Sì, ma dobbiamo ripartire con umiltà. Dobbiamo ricalibrare il nostro percorso e io sono anche orgoglioso di questa esperienza e di questa comunità che abbiamo sottoposto in questi anni a una responsabilità incredibile".

All'interno del Pd, nonostante il voto unanime o quasi in direzione, le fibrillazioni cominciano a emergere. Gli orlandiani chiedono collegialità e autonomia rispetto al gruppo dirigente del passato. La prima verifica sarà la scelta dei capigruppo e degli eventuali nomi dei presidenti delle Camere. L'ala che fa capo al Guardasigilli vuole figure di garanzia. Altrimenti, è quanto trapela da ambienti vicini al ministro della Giustizia, "l'esperimento Martina sarà considerato fallito". Andrea Orlando precisa: "Io non metto veti su nessuno, ma prendo alla lettera le parole di Martina sul fatto che le scelte saranno condivise, collegiali e unitarie. Non è questione di nomi, ma di metodi".