Renzi e il nuovo partito, tutti i retroscena. I nomi per la sua 'lista'

Il dado era già tratto da tempo. L'ex premier ha in testa un solo appuntamento: le elezioni europee. E potrebbero esserci sorprese, sia tra quelli che saranno con lui, sia tra coloro che resteranno fuori

Matteo Renzi (Ansa)

Matteo Renzi (Ansa)

Roma, 17 dicembre 2018 -  1.  Matteo Renzi pensa solo alla sua nuova creatura…

Che Matteo Renzi volesse dare vita a un nuovo partito (il suo) e non a un partito nuovo (il Pd) lo sapevano in molti da mesi, compresi alcuni giornalisti, e con il relativo timing. Una vecchia volpe del Transatlantico, Augusto Minzolini, lo aveva scritto in un articolo uscito il 25 maggio, in piena crisi di governo con all’orizzonte il governo gialloverde. Naturalmente, l’articolo di Minzolini era stato smentito dall’ufficio stampa dell’ex premier, ma con scarsa forza. Nei mesi scorsi Renzi non ha mai smentito le ricostruzioni (tra cui quelle di Qn) sui propositi di ‘fuoriuscire’ dal Pd. Solo a ‘caos primarie’ scoppiato, cioè dopo l’improvviso e imprevisto ritiro della candidatura di Marco Minniti, che doveva essere il campione suo e dei renziani al congresso, si è deciso a dire, nel vano tentativo di rassicurare i suoi, "Non uscirò mai dal Pd, non farò la scissione, non sono il burattinaio di nessuno né un capocorrente, mi occupo del Paese e non della Ditta". Smentite che non smentiscono. Del resto, i comitati civici “Ritorno al futuro” lanciati alla IX edizione della Leopolda, tenuta tra il 19 e il 21 ottobre, erano già in incubazione e, in questi mesi, si sono rafforzati. E se è vero che alcuni sono ‘in sonno’ o vivi solo su carta (220 realmente operanti sui 380 dichiarati, ma in crescita), il loro organizzatore, Ivan Scalfarotto, è un renziano che la fuoriuscita dal Pd l’ha teorizza apertamente in diverse interviste rilasciate su vari giornali mentre lo stesso ex premier ed ex leader dem ha ‘fatto correre’, senza smentita, tutti i retroscena che lo vedevano impegnato solo a formare la sua nuova creatura e non certo a occuparsi di congresso. Renzi e i suoi giudicano il Pd attuale, e pure quello venturo, “imbarazzante e inutile”, un “ferro vecchio da “dismettere”.

 

2.  Il dado era tratto dal convegno di Salsomaggiore.

Insomma, il dado era già tratto da ben prima che la querelle della candidatura, per troppo tempo attesa, e poi del ritiro di Marco Minniti, dalla corsa alle primarie, si materializzasse. Tanto che, al convegno dell’area (il primo dell’era renziana visto che lo stesso Renzi si è sempre fatto un vanto di “non avere una corrente” e di non voler darne vita a una ora), che i renziani hanno tenuto a fine ottobre a Salsomaggiore le due linee di faglia del renzismo erano emerse entrambe. La prima, quella di Renzi e dei suoi fedelissimi, era, appunto, “mani libere” e “nessun coinvolgimento” nelle beghe interne al Pd. La seconda, quella dei renziani – compresi molti un tempo definiti ortodossi (Guerini, Giacomelli, Rosato), ma per lo più provenienti dalla ex Margherita, avevano detto, in modo molto chiaro, che di uscire dal Pd non ne avevano voglia né poco né punto. Volevano restare, cioè, e impegnarsi a fondo per far vincere la gara a Minniti. E così, i renziani che seguiranno Renzi saranno pochi e tra loro non ci saranno, per sovrannumero, nomi simbolo del renzismo storico, come Luca Lotti e Lorenzo Guerini, che hanno lavorato fino all’ultimo per convincere Minniti a candidarsi, ma soltanto una stretta cerchia di fedelissimi (Giachetti, Ascani, Nobili, Anzaldi, etc.). Una cerchia molto ristretta, quella dei renziani rimasti con Renzi, dalla quale potrebbe restare fuori persino Maria Elena Boschi, anche se c’è, invece, chi dice che sia proprio lei, la ex ministra, la più scatenata nel chiedere a Renzi di andare ‘oltre’ (e di molto) dal Pd e di dar vita alla nuova avventura. E una faglia di divisione, quella emersa a Salsomaggiore, che, per un paio di mesi, è solo rimasta sottotraccia, ma che, alla fine – quando, cioè, Minniti si è trovato di fronte al sostanziale ‘disimpegno’ di Renzi e ai suoi che recalcitravano anche solo all’idea di firmare un documento che li impegnasse a ‘non’ uscire dal Pd “qualsiasi cosa accadasse” (cioè in caso di sconfitta del loro candidato), è esplosa portandosi dietro il ritiro della candidatura dell’ex ministro degli Interni. Ritiro che la candidatura, in extremis, del ticket di renziani ‘purissimi’, Giachetti ed Ascani, cambia in poco o in nulla i propositi di scissione: la loro battaglia al congresso dem, infatti, sarà una pura e semplice battaglia di testimonianza di un modo di vivere e di pensare il partito – il ‘renzismo’, appunto – che, dentro il Pd che verrà, non avrà più cittadinanza. E così “era già tutto previsto” avrebbe detto Riccardo Cocciante. Restano da capire, ora, solo i prossimi passi, da qui al 2019.

 

3.  Renzi pensa solo all’appuntamento delle Europee.

Renzi ha in testa un solo appuntamento, le elezioni europee. I suoi più stretti sostenitori parlano di cifre elettorali “intorno al 20%: doppieremo il Pd, inchiodato al 10%, ma non vogliamo essere in concorrenza, solo arare terreni diversi. ‘Dopo’ ci potremo anche alleare, ma dopo…”. Si vedrà, certo è che un conto sono i sondaggi e le percentuali che ci si dà per farsi coraggio, un conto i voti. Il guaio è che i renziani che seguiranno Renzi saranno pochi, ma all’ex premier va bene così: innanzitutto, ‘non’ li vuole perché ritiene molti di loro ‘una zavorra’.

I NOMI PER LA LISTA - Certo è anche che, nella sua lista (nome e simbolo ancora da decidere), ci sarà molto spazio per la ‘società civile’. Si fanno già i nomi della giornalista Rula Jebreal, dell’immunologo Burioni, dell’olimpica Bebe Vio, oltre ai ‘soliti’ imprenditori, professori, registi, attori, etc., con Renzi candidato capolista in più circoscrizioni elettorali. A tal punto interverrà il mondo dello spettacolo, a dare man forte al nuovo progetto politico di Renzi, un Pd 4.0, che si dice che, a sobillare l’ex sindaco di Firenze alla scissione, ci sia un imprenditore dello showbiz come Lucio Presta. L’uomo che ha ‘piazzato’ il docufilm di Renzi su Firenze e che è tornato a nutrire ambizioni politiche ‘grandiose’, anche se, quando si presentò come candidato sindaco della sua città, Cosenza, l’avventura finì presto e male, un flop.

Eppure, un gruppo, o meglio una falange macedone, a Renzi serve: dieci senatori e venti deputati, non di più, pronti a costituirsi in gruppi parlamentari (ne servono dieci al Senato e venti alla Camera) per evitare la fastidiosa, ma necessaria, incombenza della raccolta delle firme, incombenza obbligatoria per tutti i nuovi partiti.  Lo stesso Renzi potrebbe accelerare la pratica iscrivendosi al gruppo Misto dove finirebbe sotto l’ala del Psi di Nencini che potrebbe cedergli l’uso del simbolo e del nome della lista con cui si è presentato alle ultime Politiche, ‘Insieme’, anche perché, stante il nuovo regolamento del Senato, un nuovo gruppo ‘non’ si può formare se non si è presentato, come tale, alle precedenti elezioni politiche. Un bel guaio che potrebbe essere risolto, appunto, dall’aiuto di Nencini: grazie al suo simbolo (Insieme) il problema sarà aggirato.  

Resta anche un’incertezza sul lancio della nuova creatura: subito, cioè a gennaio, per bruciare sul tempo Carlo Calenda che sta per lanciare il suo Fronte repubblicano - simile, per toni e contenuti, proprio alla proposta renziana – proprio in vista della consultazione delle Europee o dopo il congresso dem di marzo? Probabilmente dopo il congresso, una volta che Zingaretti avrà vinto le primarie dentro il Pd. Ma anche se, per ventura, fosse Martina a spuntarla, nelle urne delle primarie, per Renzi cambierebbe poco o nulla. Alle elezioni europee, come pure alle prossime elezioni politiche, si presenterà con il suo nuovo partito.

Tra i fedelissimi che seguiranno Renzi c’è anche, e non a caso, Sandro Gozi. Il nuovo segretario dell’Unione dei Federalisti Europei, associazione fondata da Altiero Spinelli nel 1946, è la longa manus di Renzi che lavora in pianta stabile tra Parigi e Bruxelles. E’ stato Gozi a procurare a Renzi gli incontri dell’altro giorno con personalità di spicco della commissione Ue (Vestager, Juncker, Timmermans) e con esponenti dei raggruppamenti politici del Parlamento europeo che Renzi vuole prendere a modello (Verdi tedeschi, Liberaldemocratici, En Marche di Macron, Ciudadanos spagnola), in vista della nascita del suo partito. Certo, Gozi nega, agli amici, ogni proposito di scissione e non sa ancora che farà al congresso. Intanto si rammarica: “Stavo preparando incontri utili per Minniti, in Europa, dove già lo conoscono e stimano. Ci credevo, in Minniti”. Sono stati Gozi e Scalfarotto a tenere a battesimo l’assemblea fondativa dei comitati, prevista per il 16 dicembre a Roma, anche se si è tenuta, ieri, senza Renzi. Il movimento – formalmente coordinato da un ex prodiano, Gianfranco Passalacqua - si chiama “cittadini2019.it” e il modello allo studio (cioè quello per il nuovo partito) è stato studiato sulla base degli altri partiti ‘gemelli’ già presenti dentro il Parlamento europeo: si tratta di una via di mezzo tra En Marche (selezione delle candidature dal basso) e Ciudadanos (rete web capillare). Lì verrà lanciata un Carta europea in cinque punti con una piattaforma anti-sovranista e anti-nazionalista e che verrà sottoposta a tutti i partiti nazionali in vista delle Europee. “Il Pse – spiega Gozi a un amico – non è autosufficiente, e lo sa. Noi non avremo uno Spitzenkandidat (cioè un candidato presidente), decideremo le alleanze dopo il voto, provando a stanare il Ppe”. E il Pd? Potrebbe essere un buon compagno di strada, nulla di più.