Mercoledì 24 Aprile 2024

Il Colle vuole garanzie, no a governi tecnici

Mattarella in ansia per i conti non esclude il voto. "I partiti decidano entro un mese"

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella  (Ansa)

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella (Ansa)

Roma, 4 giugno 2019 - La sempre più probabile apertura di una procedura di infrazione contro l’Italia. Lo spread che morde. Lo scenario politico terremotato con il premier Conte che mette sul tavolo le sue dimissioni e tira in ballo, nella crisi de facto che si è aperta, anche il Colle. Colle tirato in ballo anche dalle due principali forza di opposizione (Pd e FI). Ci mancava solo la grana delle toghe sporche e il colloquio avuto ieri con David Ermini, vicepresidente di quel Csm che Mattarella presiede, a complicare e innervosire la giornata. Questa volta, dire che "il Colle è preoccupato" è dire poco, ma una cosa è certa. Il livello di guardia è stato raggiunto. Conte, dopo il discorso agli italiani di ieri, non salirà al Colle per riferire, in merito alla situazione incandescente che si è creata, per due, banali ma fondati, ordini di motivi. Il primo è che oggi il premier partirà per un viaggio di Stato in Vietnam e tornerà solo giovedì. La seconda ragione è che Conte ha già riferito della situazione politica a Mattarella. E, quel giorno, il premier ha chiesto al capo dello Stato, seppur in via informale, se ci fosse la possibilità di ottenere un re-incarico. Ma il Colle ha, con il consueto garbo, spiegato al premier che l’ipotesi non è in campo. 

La maggioranza parlamentare c’è e non è mai andata sotto alle Camere. Quindi, o il governo Conte cade per ragioni squisitamente politiche (e uno dei due alleati di governo se ne deve assumere la responsabilità) – sono i ragionamenti del Colle – oppure non ha senso cercare espedienti tecnici e dubbie forzature. Compresi governi tecnici. Il messaggio che il Quirinale sta per recapitare è chiaro: "Al massimo entro un mese mi dovete far sapere che cosa volete fare". Il Colle sarebbe quasi rassegnato. Piuttosto che andare avanti così, meglio imboccare la strada più ardua: le urne. Il timing elettorale è fissato per legge: tra 45 e 70 giorni dalla data dello scioglimento delle Camere al voto ed entro 30 giorni dal voto la presentazione delle liste. Mattarella, in quel caso, porrà ai due leader di Lega e M5S un termine invalicabile, per acconsentire a sciogliere le Camere: la presentazione della manovra economica. 

Altro timing già scritto: il 30 settembre va presentato alle Camere il Def, la legge di Stabilità va mandata a Bruxelles per il 15 ottobre e va approvata, in Parlamento, entro il 31 dicembre, pena l’entrata nell’esercizio provvisorio dei conti dello Stato. Ne consegue che la data dell’eventuale voto anticipato non può essere procrastinata oltre metà settembre. Urne aperte, dunque, il 15 o il 22 settembre, già il 29 è troppo tardi. Naturalmente, oltre all’occhio sui rapporti tra Lega e M5s, e su come risponderanno al diktat posto da Conte, il Colle ha l’altro occhio fisso sulla situazione economica. I mercati, lo spread e ciò che dirà domani la Commissione di Bruxelles, che dovrebbe avanzare una nuova richiesta di correzione dei conti pubblici, pena l’apertura di una procedura per eccesso di debito contro l’Italia. E la richiesta di una manovra bis potrebbe arrivare proprio dal Quirinale. Mattarella ha richiamato più volte il principio sancito dall’articolo 97 della Costituzione, ricordando che "avere conti pubblici solidi e in ordine è una condizione indispensabile di sicurezza sociale". O i due alleati corrono alle urne o fanno la manovra bis. Stavolta, per il Quirinale, tertium non datur.