Crisi di governo, dalle mine di Renzi ai Papeete: quante grane per Mattarella

Il presidente della Repubblica deve gestire l’ennesima crisi, la prima del suo secondo mandato

Sergio Mattarella (Ansa)

Sergio Mattarella (Ansa)

Quante ne ha viste, Sergio Mattarella, di crisi di governo? Tre, formalmente, quattro in sostanza. E tutte difficili. In ogni caso, troppe, tra il suo primo (dal 2015 al 2022) e il suo secondo settennato. Eletto presidente della Repubblica il 31 gennaio del 2015, Mattarella si trova, quasi subito, alle prese con la crisi del governo Renzi, il grande elettore che lo aveva portato al Colle. Infatti, quell’esecutivo , ereditato dal suo predecessore, Giorgio Napolitano, va in crisi perché l’allora premier e segretario del Pd, perde rovinosamente il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, indetto il 5 dicembre 2016. Renzi aveva promesso, in caso di sconfitta, di dimettersi e tiene fede all’impegno assunto. La XVII legislatura ha, davanti a sé, però, ancora due anni di vita rispetto alla sua fine naturale, il 2018. Mattarella vuole, e impone, che prosegua. E l’11 dicembre nasce il governo di Paolo Gentiloni.

Si arriva a elezioni politiche a scadenza naturale, il 4 marzo 2018. Il problema è che sono le elezioni dei "due vincitori": Salvini e Di Maio. I quali ci mettono ben 70 e rotti giorni, dopo il primo incarico esplorativo affidato alla Casellati, il secondo a Fico, una prima investitura dell’avvocato Giuseppe Conte (che accoglie e poi si nega), un mandato-lampo a Carlo Cottarelli (di un giorno!) fino ad arrivare, finalmente, all’incarico vero a Conte, che giura il 1° giugno. Una crisi di governo infinita e sfibrante col Paese sull’orlo del baratro che solo il Capo dello Stato, con ago e filo, sa risolvere, nonostante le minacce di impeachmente ventilate dai grillini.

Il Conte I, però, dura lo spazio di un mattino. Ai primi giorni di agosto del 2019 Matteo Salvini fa scattare quella che passerà alla storia come "la crisi del Papeete" per puntare dritto alle elezioni anticipate. Conte, pur senza essere stato sfiduciato dalle Camere, si dimette il 20 agosto. Il Colle dà luogo a consultazioni in stile blitzkrieg . E la mossa del capo della Lega fallisce. Nasce, invece, il governo giallorosso. Movimento 5 stelle e Partito democratico, avversari alle urne, si alleano; Renzi (che ha fatto la scissione di Italia viva) dà una bella mano per sventare le urne, il Pd accetta che Conte resti dove si trova, e il 5 settembre 2019 nasce il governo Conte II.

È la seconda crisi di governo di Mattarella. Alla fine del 2021 ci risiamo: il motore che dà la stura alle crisi di governo, e le risolve, è sempre Renzi. Il leader di Iv, dopo aver cannoneggiato il Conte II – che ha affrontato la pandemia – ritira la delegazione del suo partito dal governo, e Conte, che per qualche settimana cerca la prova di forza in Parlamento con l’"operazione Responsabili", si rassegna al fatto compiuto: non ha i numeri per governare. Il 26 gennaio Conte si dimette e, anche qui, di fronte a una situazione che appare disperata, Mattarella cala di nuovo l’asso – e che asso! – per impedire la fine anticipata della legislatura.

Offre l’incarico di premier all’ex governatore della Bce, Mario Draghi, intorno a cui si coagula un larghissimo consenso tra i partiti. Nasce un governo di unità nazionale per affrontare le sfide più impellenti (pandemia, Pnrr e, poi, guerra in Ucraina) sostenuto da quasi tutti: M5s-Lega-Fi-Pd-Iv. Il governo Draghi giura il 13 febbraio 2021, ottiene un’ampia maggioranza e il Capo dello Stato crede di aver davvero messo in sicurezza la legislatura fino a scadenza naturale (marzo 2023). Ma non ha fatto i conti con Conte (sempre lui…) e così eccoci all’ultima crisi. La prima crisi di governo sotto il Mattarella bis, rieletto il 29 gennaio 2022 con 759 voti. Rimarrà in carica altri sette anni: quante ne vedrà ancora.