"Draghi? Per Usa e Ue sarebbe premier a vita. Temono i populisti"

Il giornalista britannico Bill Emmott spiega come Washington e Bruxelles interpretano le tensioni italiane: "L’ex capo della Bce garantisce stabilità, i mercati sperano che resti al suo posto anche dopo il voto"

Il giornalista britannico Bill Emmott è stato direttore dell’Economist (Ansa)

Il giornalista britannico Bill Emmott è stato direttore dell’Economist (Ansa)

"Stati Uniti e Unione europea lascerebbero Mario Draghi a Palazzo Chigi per sempre, ma sanno che non è possibile e temono che all’orizzonte si profili un governo populista: questo è il punto". Bill Emmott, giornalista e saggista britannico, direttore dell’Economist dal 1993 al 2006, conosce bene gli umori e i desideri che circolano nei palazzi del potere occidentale. E segue da vicino le vicende italiche.

Emmott, è stato sorpreso dalle dimissioni del premier italiano?

"Sono arrivate prima del previsto, ma non sono una sorpresa. Si sapeva da tempo che l’azione del governo si sarebbe arrestata dopo l’estate perché poi i partiti avrebbero dato inizio alla campagna elettorale".

Secondo lei, cosa ha spinto il premier a dimettersi?

"Conte ha provato a metterlo all’angolo, Salvini minaccia di fare la stessa cosa. Draghi ha perso la pazienza".

Washington e Bruxelles premono affinché Draghi resti al suo posto. L’ex capo della Bce è davvero libero di lasciare?

"Il presidente del Consiglio è libero di fare le sue scelte. Dopotutto, nei prossimi mesi la politica italiana non cambierebbe comunque, né è così importante nell’attuale scenario internazionale: il vostro Paese è un player minore visto che non sostiene la resistenza ucraina in maniera massiccia, come invece fanno Stati Uniti, Regno Unito e Germania".

Non crede che le pressioni che arrivano da Usa e Ue possano far presa su una persona con il background di Draghi?

"Credo di no, è un uomo particolare: ha i suoi principi, non è vulnerabile. Se pensa di non poter incidere, lascerà".

Perché ci sono tante pressioni internazionali sulla permanenza del premier italiano? Per Boris Johnson non è accaduto.

"Perché Draghi è una garanzia. Per Washington e Bruxelles, invece, il ritiro di Johnson è stato un sollievo, una buona notizia. Il premier britannico era visto come un problema".

Da Biden a Macron, da BoJo a Draghi: le leadership occidentali non godono di ottima salute.

"Sono gli strascichi della crisi del 2008 e delle diseguaglianze che ne sono derivate, soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Da ciò hanno tratto forza l’estremismo e il populismo, che indeboliscono le leadership. Il passo indietro di Draghi è una conseguenza della frantumazione del quadro politico italiano dovuta alle spinte di partiti populisti come Movimento 5 stelle, Lega e Fratelli d’Italia".

All’estero temono un’affermazione delle forze populiste in Italia alle prossime elezioni?

"Certo. A Washington e Bruxelles si chiedono quali partiti governeranno l’Italia dopo le elezioni politiche. L’Italia sosterrà l’Ucraina come ha fatto finora? Continuerà ad amministrare bene i fondi del Pnrr? Anticipare il voto di qualche mese non cambia le risposte a queste domande. I mercati temono innanzitutto l’incertezza e l’instabilità".

E cosa si augurano?

"Che per la debolezza dei partiti il presidente Mattarella sia costretto ad affidarsi a Draghi anche dopo il voto".

Intanto, in questi mesi si sovrappongono questioni cruciali: la guerra in Ucraina, l’attuazione del Pnrr, l’inflazione alle stelle. Quali di questi temi rende fondamentale la permanenza del premier a Palazzo Chigi?

"La stabilizzazione dell’economia e l’attuazione del Pnrr sono la priorità in questo momento".

Prima dell’elezione del presidente della Repubblica lei disse che i mercati auspicavano la salita al Colle di Draghi. È stato un errore non mandarlo al Quirinale?

"Forse sì, come ’nonno della nazione’ avrebbe garantito la stabilità e la fiducia dei partner internazionali.