Mario Draghi, il banchiere che salvò l'euro "a ogni costo"

Alla guida della Bce ha avviato il più vasto programma di aiuti all’economia in crisi superando l’opposizione dei tedeschi. Si forma in Goldman Sachs e in Banca d’Italia. Sul Recovery ha avvertito: "Bisogna spendere bene i soldi, senza sprechi"

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Andare al di là degli schemi. Senza tabù. È questa la cifra di Mario Draghi, 74 anni (sposato con Serena, due figli, con le lancette del suo orologio sempre in anticipo per arrivare puntuale), definito da Paul Krugman "il più grande banchiere centrale di tutti i tempi". L’economista romano dall’aplomb britannico, diventato famoso per il suo "whatever it takes", con cui ha salvato l’euro e l’Europa nel 2012, passa per un campione di stabilità, ma è un rivoluzionario in fondo all’animo.

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È quanto si deduce dalla sua opera nella Banca Centrale Europea, dove ha inaugurato una serie di strumenti innovativi per gestire la crisi del debito sovrano europeo, ma anche dai suoi scritti del tutto anomali per un banchiere, ultimo dei quali pubblicato sul Financial Times nel marzo scorso, quando aveva già passato il testimone della Bce a Christine Lagarde e si sentiva, forse per la prima volta in vita sua, un uomo libero. In quell’articolo, Draghi tratteggia, la sua strategia di governo, andando oltre un invito a intervenire a qualunque costo contro la pandemia. Incita a cambiare mentalità e a mobilitare l’intero sistema finanziario verso un unico obiettivo: proteggere l’occupazione – i posti di lavoro, non solo il reddito dei lavoratori – e la capacità produttiva durante la recessione da coronavirus. Eccolo, il suo ’bazooka’, termine diventato famoso per indicare il Quantitative easing (acquisto massiccio di titoli anche di Stato).

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Descrive anche una strategia che non si limiti a un massiccio intervento fiscale dei governi o a quello monetario della Banche centrale, ma imponga il coinvolgimento di un numero ben più ampio di protagonisti, come nell’economia di guerra. La liquidità, spiega Draghi in quell’articolo, deve arrivare dappertutto, "in ogni crepa dell’economia", con una mobilitazione totale degli interi sistemi finanziari dei Paesi europei: "mercati dei bond, soprattutto per le grandi aziende, sistemi bancari e in alcuni paesi anche quelli postali per tutti gli altri". Le banche, in particolare, possono giungere dappertutto e "possono creare moneta istantaneamente concedendo fidi bancari e aprendo linee di credito". È qui il punto chiave della sua proposta, dai toni quasi da socialismo reale. La moneta va creata per così dire "dal nulla", con una semplice firma sotto la concessione del credito, e distribuita capillarmente. "Le banche devono rapidamente prestare fondi a costo zero alle aziende pronte a conservare i posti di lavoro", scrive.

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Gli Stati europei dovranno favorire questo nuovo ruolo concedendo piena garanzia, di nuovo a costo zero, a tutte le banche per tutti i prestiti così concessi. Draghi chiede proprio che – come in una guerra – le aziende private del settore finanziario svolgano una funzione pubblica. La parola chiave della sua proposta, finora snobbata da tutti i governi europei, è "rapidamente": "Il costo dell’esitazione - avverte - può essere irreversibile". Draghi ha contestato la politica dei bonus e, con riferimento al Recovery fund, ha ammonito: se il piano "sarà sprecato il debito alla fine diventerà insostenibile perché i progetti finanziati non produrranno crescita".

Con una carriera di questa portata alle spalle - passata da Banca Mondiale, Goldman Sachs, Banca d’Italia, Bce - e un’autorevolezza consolidata a livello mondiale, l’Italia potrebbe finalmente dotarsi di un primo ministro capace di trascinare gli altri Paesi d’Europa.

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