Mario Draghi commosso. Così l’Italia ha liquidato il tecnico più autorevole

L'ex banchiere voleva raddrizzare la barra di un Paese allo sbando. Ma cacciando il premier che l’Europa ci invidiava si torna alla fragilità dei partiti Ieri alla Camera ha reagito all’applauso: "Certe volte anche io uso il cuore..."

Roma, 21 luglio 2022 - Ricorderemo la giornata del 20 luglio. La ricorderemo perché attraverso i loro portavoce, una parte dei rappresentanti che siedono al Senato della Repubblica, e quindi i rispettivi partiti, hanno sbrigativamente liquidato la figura più prestigiosa, insieme al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Ovvero il Presidente del Consiglio Mario Draghi. Prestigioso per la sua autorevolezza. Una autorevolezza guadagnata in una lunga carriera internazionale, di studioso ed accademico, banchiere e civil servant. Un’autorevolezza guadagnata alla guida della Banca Centrale Europea, con il suo indimenticato "Whatever it takes", che rivelò la statura politica di un grande tecnico.

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Una autorevolezza che aveva convinto il Presidente Mattarella a chiedere il suo ‘servizio’ per uscire dall’ennesima impasse politica, dopo la caduta del governo Conte II e i poco edificanti mercanteggiamenti per tenerlo in vita, frutto di un sistema politico ormai avvitato su se stesso. E che è stata ancora una volta confermata dai segnali giunti dalle cancellerie europee, dalla Commissione europea, dalla presidenza americana, dal presidente dell’Ucraina invasa, una volta apertasi la crisi. In una confusa partita dove si sono intrecciate ansie elettoralistiche e passi avventati, dove si sono rincorse mosse confuse e contraddittorie con risultati spesso inintenzionali, alla fine il sistema dei partiti, certo con specifiche e diverse responsabilità, ha espulso dal sistema, come un corpo estraneo, chi in questi diciotto mesi aveva governato con l’intento di governare, appunto, non di cercare consensi o acconciare compromessi al ribasso per tirare a campare. Come è stato spesso nello stile dei nostri governi. Chi, ancora, aveva portato l’Italia ad essere protagonista nel contesto internazionale, nell’Unione europea e nella risposta corale dell’Occidente alla brutale aggressione della Russia di Putin. Rivelando una visione politica di ben più ampio respiro dei nostri tanti politici di professione o per caso.

L’espulsione è avvenuta in un periodo di grande difficoltà, come ha sottolineato con forza il Presidente Mattarella nella sua dichiarazione dopo la firma del decreto di scioglimento delle Camere. Un presidente dall’espressione severa, che faceva trapelare la grande delusione. Accolto da un lungo applauso della Camera, attraverso il suo sorriso, il Presidente Draghi ha mostrato la propria commozione ("Certe volte anche il cuore dei banchieri centrali viene usato..."). Al termine di una breve, ma folle crisi, dove non gli sono stati risparmiati i discorsi ipocriti e insensati di chi aveva ormai deciso di voltare pagina senza avere il coraggio di spiegare le vere ragioni al Paese, ragioni evidentemente indicibili, e stupide accuse di cercare ‘pieni poteri’.

Ora Draghi, con gli strumenti che ancora possiede, come ha precisato Mattarella, guiderà il Paese sino alle imminenti elezioni, per rispondere alle esigenze presenti e prossime. Avrebbe potuto fare molto di più. Non cambiare un sistema che non funziona, non era la sua una missione alla De Gaulle, ma raddrizzare la barra di un paese da molto tempo allo sbando. E dare un contributo cruciale all’Europa che cerca una più forte integrazione e all’Europa che oggi conosce di nuovo la guerra. Non potrà farlo e il gioco torna in mano a quei partiti la cui fragilità ha condotto in una legislatura a far nascere tre governi. Ora avremo il quarto. Alcuni di questi partiti hanno in mente un ruolo per l’Italia diverso da quello che è stato giocato negli ultimi diciotto mesi, altre collocazioni. Certamente nessuno ha sino ad oggi espresso una visione capace di andare oltre ai propri interessi di breve periodo. Con questi partiti ora dovremo arrangiarci.

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