Manovra e Ilva, il Pd minaccia la crisi. "Così la corda si spezza"

Vertice con i ministri dem. Zingaretti lancia un segnale a M5s e Italia viva: "Non faremo i donatori di sangue a vita"

Nicola Zingaretti (LaPresse)

Nicola Zingaretti (LaPresse)

Roma, 7 novembre 2019 - Darla vinta a Renzi e Di Maio? Giammai. Zingaretti e Franceschini riuniscono alla Camera i maggiorenti Pd (esponenti della segreteria, ministri e capigruppo) su manovra e Ilva per dettare un ultimatum: basta con i giochini, le bandierine messe qua e là che creano difficoltà al governo; a forza di tirare la corda, c’è il rischio che si spezzi. Se quei due vogliono andare a votare, si accomodino pure: "Il Pd non è la banca del sangue".

A loro volta, però, i due leader democratici sono oggetto di critiche dei parlamentari: "Siamo stanchi di subire le mosse degli altri. Noi arriviamo sempre a rimorchio", è l’avvertimento. Che resta sottotraccia: in ballo c’è una difficilissima rielezione. Però tra Camera e Senato emerge che la misura è colma: una volta è la rimodulazione dell’Iva, una volta la plastic tax, una volta l’imposta sulle auto aziendali, si collezionano figuracce, il lamento collettivo. "Che senso ha attaccare Renzi per poi accodarsi alle sue richieste?". Di qui il soprannome che qualcuno ha coniato per Zingaretti: l’uomo delle 48 ore dopo...

Nella riunione la mette in modo elegante il capo dei senatori Marcucci: "Segretario, prendi iniziative politiche". Altro che cabina di regia proposta da Franceschini: se sopra le tensioni ci metti Ilva e Emilia-Romagna (in caso di sconfitta c’è chi scommette sul sindaco di Bergamo, Gori, per la segreteria) si rischia il botto, è il ragionamento.

A grattare sotto la superficie, salta fuori che la collera dei vertici Pd contro gli alleati e quella della base contro di loro nascono dallo stesso stato d’animo di chi si sente imbottigliato. Ha voglia Zingaretti di minacciare il voto, "tanto nella maggioranza saremo quelli che vanno meglio". Finché c’è la sessione di bilancio è una via sbarrata. Mettiamo poi che salti il tavolo a gennaio: l’incrocio tra la riforma dei parlamentari e l’attuale legge elettorale farà raccogliere al Pd non più di 70-80 seggi. A Renzi, che conosce bene dinamiche e interessi del partito che ha guidato 5 anni, questo conto non è sfuggito. È infatti convinto che le voci di esasperazione del segretario Pd e la sfuriata siano state fatte trapelare per reggere quello che ritiene "un bluff". Tutto lascia pensare, al momento, che abbia ragione.