
Sopra, a destra, manifestazione dei precari Rai. Qui a sinistra, Luigi Sbarra 65 anni, è stato segretario nazionale della Cisl dal 2021 al 2025
Giorgia Meloni spariglia le carte e nomina l’ex segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, sottosegretario alla Presidenza con la delega per il Sud. Un’operazione che, al di là delle letture più immediate post-referendum, indica una svolta e una traiettoria nuova nella politica della premier. Che sceglie per un incarico di primo piano nell’esecutivo un leader sindacale indipendente (un inedito o quasi per un governo di centro-destra) di una confederazione storicamente e culturalmente moderata, centrista (anzi, tradizionalmente di centro-sinistra), cattolica, riformista. Superando, per di più, la barriera della cerchia stretta degli uomini del suo partito o dei partiti della maggioranza. E, dunque, non è un caso che osservatore interessato delle vicende politiche, come Gianfranco Rotondi, avvisi: "Lo dico con malcelato orgoglio a chi ancora litiga per il simbolo Dc, datevi una calmata perché tanto la Dc la sta rifacendo Giorgia".
L’occasione della nomina di Sbarra permette a Meloni di tornare sull’esito del referendum e togliersi un po’ di sassolini dalla scarpa: "Dall’inizio di questa vicenda non ho capito il senso di presentare referendum abrogativi di leggi fatte dalla sinistra e dire che era un test per il governo: invece mi pare che si sia trattato di un referendum sulle opposizioni e il risultato è abbastanza chiaro". Non basta. Il quesito sulla cittadinanza – insiste - è stato una "sciocchezza: solo chi vive nei salotti eleganti e frequenta club esclusivi" poteva pensarlo".
Regolati gli ultimi conti sui referendum, la notizia della giornata è la nomina di Sbarra. Ora, non è la prima volta che, anche nella Seconda Repubblica, dirigenti sindacali passino in politica con incarichi rilevanti sia dalla Cgil sia dalla Cisl e dalla Uil: basterebbe mettere in fila i nomi più significativi, da Franco Marini a Guglielmo Epifani, da Pietro Larizza a Sergio D’Antoni, da Cesare Damiano, fino alla stessa Annamaria Furlan e a Susanna Camusso.
Il punto è che è la prima volta che un segretario generale della Cisl entra in un governo di centro-destra. E, al di là delle reazioni più o meno polemiche e strumentali di qualche esponente dell’opposizione legate alla posizione della Cisl verso l’attuale esecutivo, quel che si racconta da fonti beninformate è che la mossa di Meloni non è certo estemporanea. L’operazione viene da lontano. Ma i risultati referendari l’hanno accelerata. L’obiettivo della premier è quello di allargare il potenziale elettorato della sua maggioranza a quell’area di elettorato centrista, moderato, cattolico di centrosinistra che non si riconosce più in un Pd radicalizzato, che non è andato a votare o che ha votato no ai referendum sul lavoro o no al quesito sulla cittadinanza: una percentuale rilevante.
A certificare il senso dell’iniziativa le parole della stessa Meloni ("Il messaggio è che vogliamo continuare a rafforzare l’occupazione nel Mezzogiorno") e del diretto interessato: "Il mio impegno sarà massimo per contribuire al rafforzamento dei processi di crescita, sviluppo, coesione e occupazione nel Mezzogiorno". Ma la benedizione arriva anche dalla nuova leader della Cisl: "È un incarico – avvisa Daniela Fumarola - che riconosce lo spessore politico e il radicamento sociale di una persona che ha dedicato l’intera vita al Sud del nostro Paese".