Lo chiamavano Dracula, ora dicono sì a Draghi. Ma M5S si spacca: Di Battista se ne va

Su Rousseau passa la linea di Grillo: il 59% vota per l’alleanza con Lega, FI e Pd. Polemiche sul quesito. La scissione è sempre più vicina

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Con una maggioranza del 59,3%, il M5s ha detto "sì" al governo Draghi (40,7% i "no" su 74.537 iscritti) rispondendo all’ambiguo quesito posto dai vertici grillini su Rousseau per dare comunque il via libera al governo. Un risultato scontato, come scontata è anche quella larga fetta di no che ha certificato una scissione nei fatti: tutta l’area dei contras, da Barbara Lezzi ad Alessandro Di Battista, passando per Elio Lannutti fino a Pino Cabras ("no a Draghi superministro della supercazzola!", il suo slogan) ha cannoneggiato per l’intera giornata nel tentativo di spostare il risultato che tuttavia, per dirla con Vito Crimi, adesso "vincola il Movimento" nel dare il via al nuovo Esecutivo. Ma la ’fronda’ non molla: "Per me - ha ribattuto Cabras - il vincolo è con 11 milioni di italiani che ci hanno votato, non con altri".

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Sarà sulla fiducia a Draghi il momento di conferma della divisione netta che ormai attraversa le forze parlamentari del M5s, ma il voto di ieri ha anche sancito un divorzio. Doloroso. Quello di ’Dibba’, che ha annunciato l’intenzione di "farsi da parte".

La guerra, insomma, è appena cominciata, con un addio inatteso. Che non pare pesare sulle spalle dei grillini di governo: "Siamo a disposizione di Draghi – ha scandito Crimi – dando la parola i nostri iscritti abbiamo ottenuto un mandato. Adesso viene il lavoro più difficile che è quello di rispettare questo mandato". Ringraziamenti alla base così frastagliata sono arrivati anche da Luigi Di Maio: "I nostri iscritti hanno dimostrato una grande maturità. Il M5s sceglie la via europea, sceglie un insieme di valori e diritti di cui tutti noi beneficiamo ogni giorno e dietro ai quali, purtroppo non di rado, si nascondono egoismi e personalismi".

Il camaleontico Movimento 5 stelle, dunque, getta a terra un’altra delle sue innumerevoli maschere. E stavolta, con tanto di benedizione di Rousseau, andrà al governo addirittura con Berlusconi, con l’arcinemico Renzi, ma anche (di nuovo) con Salvini, personaggi che sono tra i motivi per cui è nato il M5s, come ha ricordato l’ex ministro, Danilo Toninelli. E con il ‘capo dei banchieri’ – per dirla con Lannutti – a fare da premier. E con lui - e con quello che rappresenta - il Movimento si avvia anche a rinnegare pezzi di battaglie identitarie e fondanti che vanno da quella sul conflitto d’interesse a quella sul completamento della riforma Bonafede sulla giustizia, oppure sul reddito universale. Certo, ieri Beppe Grillo, dopo aver postato un fotomontaggio con Draghi in bilico su un cornicione davanti a un Mattarella alla finestra, solo per far pesare sui social il voto stellato su Rousseau, ha voluto nuovamente giocare d’ironia ricordando che gli ‘obiettivi di governo’ del M5s restano sempre e solo quelli, ma la credibilità è stata ormai sepolta dalla polvere del continuo cambio di casacca, in nome della conservazione del potere e delle poltrone.

Ieri sera, dopo l’ennesima votazione su Rousseau (la 335esima dal battesimo della piattaforma) Casaleggio ha tentato fino all’ultimo di far entrare dalla finestra un’ipotesi di voto di astensione del M5s per tornare anche lui in pista per un secondo voto degli iscritti, ma è stato respinto con forza da Crimi e Di Maio: "Nessuna astensione - aveva replicato duro Crimi - il voto è o sì o no. Ed è vincolante".

Oggi Draghi dovrebbe salire al Colle, mentre, sia in Senato che alla Camera, i dissidenti si prepareranno a formare gruppi autonomi di ex 5 stelle per posizionarsi all’opposizione. L’obiettivo, viene spiegato, è arrivare a una nuova formazione chiamata ’no Draghi’. "Per ora ne stiamo parlando", spiegava una fonte interna grillina. Tra questi anche quei ‘contiani’ che avevano chiesto che nel governo entrasse anche il premier uscente. Dunque, in tutto non pochi.

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