Elezioni comunali 2021: Letta su, Salvini giù, Conte nei guai

Le amministrative indeboliscono i populisti. Male i Cinquestelle, la Meloni sperava di più. Primo appuntamento al Quirinale, poi le elezioni?

Gli scenari del dopo voto

Gli scenari del dopo voto

L’Italia delle città (dei ceti "affluenti", ma non delle periferie che si tengono lontanissime dalle urne) archivia le pulsioni populiste e sovraniste del decennio e ridà al Pd il ruolo di partito centrale e "di sistema". Almeno per questa volta, dunque, c’è ben poco da arzigogolare con le percentuali e i confronti con la puntata precedente: il primo voto-test di rilievo nel mondo nuovo del dopo-pandemia ci consegna un risultato secco e senza fronzoli, con vincitori e vinti.

Elezioni: guida al ballottaggio

Dentro uno scenario di elevatissima astensione (nei grandi centri a livello storico intorno al 60%), il Pd di Enrico Letta (forte anche del successo personale a Siena, che gli riapre l’ingresso alla Camera) porta a casa tre sindaci di peso al primo turno (a Milano, Napoli e Bologna) e ipoteca due vittorie al ballottaggio, riprendendosi la decisiva Roma e la simbolica Torino, e solo a Trieste avrà davvero da giocarsela.

I grillini di Giuseppe Conte perdono la Capitale (con la Raggi terza) e l’ex Capitale e, soprattutto, finiscono complessivamente sotto la soglia di sopravvivenza del 10% e addirittura sotto il 5% nel Nord: tanto da far dire che nel giorno di San Francesco erano nati (4 ottobre 2009 al teatro Smeraldo di Milano) e nel giorno di San Francesco muoiono.

Ma è la Lega di Matteo Salvini a uscire battuta sonoramente nei confronti diretti e nei numeri delle liste: si oscilla su cifre poco sopra il 10% nel Nord, ma ben al di sotto di quel limite tra Roma e il Sud. A livelli dell’era pre-Capitano.

Senza che la débâcle si trasformi completamente in un travaso di voti per Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni: cresce sicuramente in maniera significativa al Nord e a Roma e si posiziona come primo partito del centro-destra, ma da qui a brindare ce ne corre. E così finisce che solo Forza Italia, mal messa a consensi di lista, può tirare, però, un sospiro di sollievo: conquista con un suo uomo la Regione Calabria. Mentre, sempre sul fronte dei moderati, tocca a Carlo Calenda prendere in mano la bandiera del centro: la performance romana (con la sua formazione quasi primo partito in città) lo proietta di fatto in una dimensione nazionale.

Dunque, se l’Italia politica che viene fuori dal primo, ampio voto post-Coronavirus è quella che abbiamo tratteggiato, possiamo ben dire che il risultato darà inevitabilmente il via a una nuova fase nel nostro Paese. Una fase che consegna alla storia il grillismo, che ridimensiona o azzera addirittura le spinte populiste e sovraniste e che coincide con l’inizio di un periodo decisivo per i destini di leader e partiti, coalizioni e formule: basti pensare alla madre di tutte le battaglie, quella per il Quirinale che si apre a gennaio, e a quella delle prossime elezioni politiche, il cui inizio dipenderà ampiamente dall’esito del primo appuntamento. Così come connesso allo stesso passaggio è la sorte del governo Draghi. Il punto è che rispetto a questo intreccio avviluppato, a questo risiko di potere senza precedenti, il risultato di ieri determina un non tanto paradossale cambio di interessi e posizionamenti dei leader in campo.

Letta, sull’onda del successo ottenuto, punterà in primo luogo a svolgere un ruolo di king maker nella elezione del nuovo Capo dello Stato, ma il Parlamento è quello del 2018 e Matteo Renzi è quello di sempre e vorrà dare lui le carte decisive e, dunque, non sarà una missione agevole: di sicuro, con il trionfo del Pd, il leader del Nazareno potrebbe, però, avere interesse a sostenere Mario Draghi al Quirinale (e nessuno potrebbe dire di no) con l’obiettivo o la tentazione di andare al voto anticipato (da lui evocato non a caso) a giugno o al massimo in autunno, per dare il colpo di grazia al centro-destra. E, d’altra parte, la Meloni è pronta a sfidarlo proprio su questo terreno.

A frenare Letta potrebbero essere tre fattori: il rischio di una replica del ‘93 quando la vittoria dei Progressisti in tutte le città del Paese finì in una sconfitta nel ‘94 alle politiche. L’alto astensionismo di oggi (con i quartieri bene che votano a sinistra e le periferie che non votano) potrebbe non esserci domani. In terzo luogo, la drammatica crisi grillina che, da un lato, produce una selezione darwiniana della leadership nel centro-sinistra (ovvero mette fuori campo Conte) e dall’altro, però, crea un problema non da poco per la competitività della coalizione.

Salvini, al contrario, avrà l’interesse opposto a quello avuto fino a oggi: come si è visto già ieri (lunga vita al governo in carica, ha avvisato) punterà a allungare la vita a Draghi fino al 2023, ma di fronte alla sua possibile elezione al Quirinale non potrebbe opporsi: in pratica è in trappola. Certo è, infine, che i movimenti dell’area neocentrista riprenderanno fiato e vigore, in ogni caso. Il successo di Calenda, insieme con la funzione non secondaria svolta da Italia Viva nei diversi centri, rilancia una prospettiva che metta insieme i cespugli del mondo moderato. Con non poca attrazione per quel che resta di Forza Italia. E con non poche chance di chi, come Giancarlo Giorgetti, vuole portare la stessa Lega nel Ppe.

Il nuovo grande gioco italiano, insomma, è appena cominciato.