Venerdì 19 Aprile 2024

La mossa di Meloni: semipresidenzialismo come terreno comune

La premier affronta il nodo istituzionale, sì al confronto in Parlamento. "Ma se troveremo chiusure preconcette, siamo pronti ad andare da soli"

Roma - La premier Giorgia Meloni, nel suo discorso per chiedere la fiducia alla Camera dei Deputati, butta sulla bilancia la ‘spada di Brenno’ delle riforme istituzionali e, in particolare, quella di una riforma in senso presidenziale – o, meglio, semipresidenziale, infatti la Meloni cita, espressamente, il "modello francese" – della Carta costituzionale.

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Non è, in realtà, il tema delle riforme istituzionali, il core business del suo discorso, ma solo uno dei punti che mette a fuoco. D’altro canto, però, il progetto di riforma in senso presidenziale delle nostre istituzioni (l’Italia è una repubblica parlamentare e il rapporto fiduciario di base è quello che intercorre tra Parlamento e governo: senza, resta in piedi il primo, non il secondo) è uno dei vessilli che il centrodestra, tutto intero, ha sbandierato lungo l’intera campagna elettorale. Il neo-ministro ai Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, la mette così: "Faremo le riforme, se possibile, con l’opposizione, ma se l’opposizione non lo renderà possibile le faremo senza". Insomma, taglia corto Ciriani, "La nostra strada è quella del confronto, se non sarà possibile ragioneremo diversamente".

Il problema è, appunto, cosa faranno e come si comporteranno le opposizioni, davanti a una scelta che, potenzialmente, è assai dirompente. Infatti, introdurre il semi-presidenzialismo avrebbe un effetto dirompente sulla nostra Carta: dovrebbe essere riscritta, praticamente, in tutta la sua seconda parte, quella del funzionamento e dei rapporti tra Governo-Parlamento-Capo di Stato. Tutti e tre, infatti, ne verrebbero stravolti. In pratica, si tratta di una riforma ‘monstre’ che, data anche la difficoltà nel fare, ogni volta che ci si prova, una riforma istituzionale: serve una duplice lettura in ognuna delle due Camere e a maggioranza assoluta obbligatoria, oltre a un possibile referendum confermativo ove non si raggiunga la maggioranza qualificata di due terzi.

Proprio per evitare l’obbligo del referendum, servono, se non tutti, i voti di almeno una parte delle attuali tre opposizioni. M5s e Pd (Letta in testa) hanno già detto no, subito, a tale riforma. Il Terzo polo, invece, apre, per bocca di Ettore Rosato, padre dell’attuale legge elettorale, e dice già, e subito,proprio al modello francese. I dem temono che il Terzo Polo abbocchi all’amo e, del resto, sia Renzi che Calenda si erano detti favorevoli a discutere con Meloni delle riforme. Dario Parrini, però, lascia aperto uno spioncino. "Presidenzialismo è l’elezione diretta del Capo dello Stato come leader politico e figura di parte. Non va bene. Il Capo dello Stato deve restare figura garante. Si rafforzi la stabilità dei governi senza scassare la democrazia parlamentare. A esempio col modello tedesco" è la (timida) apertura del dem che segue il dossier. Se ne parlerà nella sede deputata: le commissioni Affari costituzionali delle Camere, dove si vedrà quale progetto porterà avanti la maggioranza di governo, in che forme e modi.