Ventura
Chi altri, se non il governo di Mario Draghi, avrebbe potuto prevedere un aumento degli stipendi dei sindaci? La domanda è retorica: difficile immaginare in questa fase storica un governo ‘politico’ che si assuma la responsabilità di aumentare esplicitamente i famigerati "costi della politica", sottocategoria dei più generali "privilegi" della Casta. La gabbia dell’antipolitica ha intrappolato da un trentennio la politica italiana. Ha spesso fatto sragionare i suoi protagonisti, portandoli a cavalcare il disprezzo indiscriminato per chi, eletto o nominato, opera nelle istituzioni pubbliche. O a piegarsi alla ‘forza’ di tale disprezzo, torcendo ogni iniziativa politica nell’ottica della lotta alla Casta, come nel caso della riforma costituzionale voluta da Renzi e presentata come uno strumento per risparmiare; oppure a subire riforme sciagurate per non contraddire campioni del populismo scelti come compagni di strada, come nel caso del Pd che approva il taglio dei parlamentari per accontentare gli alleati populisti Cinque Stelle.
Così, non meraviglia che l’aumento del quale si parla e che giungerà a regime all’inizio del 2024, sia stato inserito nella legge di Bilancio dell’esecutivo di Draghi, un leader indifferente a suggestioni elettoralistiche. Purtroppo, si tratta di una misura isolata. Non si vedono all’orizzonte altri interventi volti a dare alla politica dignità e i mezzi per operare. Tanto si parla della crisi dei partiti, ma le proposte, che pur ci sono, di nuove norme per ripristinare modalità di finanziamento pubblico (soppresso per inseguire il senso comune) sono ignorate. Ma la politica costa. Costa perché ha un valore; serve, anzi è necessaria. Eppure, nonostante la parentesi Draghi, non siamo ancora guariti dalla sbornia dell’uno vale uno e del moralismo antipolitico. I risultati si vedono.