
Osama Qashoo, 43 anni, attivista e imprenditore palestinese rifugiato nel Regno Unito, ha creato Gaza Cola
Coop Alleanza 3.0 rimuove dai suoi scaffali in otto regioni italiane alcuni prodotti israeliani e mette invece in vendita la Gaza Cola, perché "non si può rimanere indifferenti davanti alle violenze in corso nella Striscia di Gaza". Non solo: il ricavato delle vendite della Gaza Cola contribuirà alla ricostruzione di un ospedale nella Striscia. A essere rimossi dai ripiani all’interno dei supermercati sono alcune referenze di arachidi e di salsa Tahina, prodotte in Israele, e gli articoli a marchio Sodastream. Quella presa dalla più grande fra le cooperative di consumatori è una scelta politica, volta "a dare un segnale di coerenza", sottolinea Coop, rispetto all’escalation in Medio Oriente. Una presa di posizione che la prima coop italiana per numero di punti vendita definisce "doverosa" perché "non possiamo rimanere indifferenti davanti alle violenze in corso". E così decide di unirsi "senza esitazione" al fianco di enti, istituzioni e associazioni che chiedono il cessate il fuoco nella Striscia.
La decisione di Coop Alleanza è arrivata durante l’assemblea generale di sabato scorso, grazie a un rapporto presentato al precedente Consiglio di Amministrazione dalla Commissione Etica. Subito dopo, spiega la cooperativa, "una rappresentanza di soci e socie che da tempo si sono mobilitati per la Palestina, sono stati invitati ad intervenire per arricchire il dialogo interno alla Cooperativa". Da qui è nata la decisione di rimuovere i prodotti dagli scaffali e attivare aiuti concreti a Gaza, aderendo alla campagna nazionale ‘Coop For Refugees’, che già da un paio di settimane ha scelto di inserire nel suo assortimento la Gaza Cola. La bevanda è "l’espressione di un progetto al 100% di proprietà palestinese – sottolinea Coop Alleanza – che, con il ricavato delle vendite delle lattine, contribuirà alla ricostruzione di un ospedale nella Striscia".
Fino ad oggi, sul boicottaggio nei confronti di Israele, a prendere posizione sono state solo le istituzioni, soprattutto le Università. In primis, la Sapienza di Roma che ha boicottato le partnership con i ricercatori israeliani. A ruota è arrivata la decisione dell’Università di Bologna di schierarsi con la Palestina, e chiedere lo "stop alla violazione del diritto internazionale". E poi, nelle scorse settimane, anche diversi enti locali hanno sposato in pieno la causa palestinese, prendendo decisioni più nette delle semplici dichiarazioni di condanna di Israele del suo governo.
Ad aprire le danze è stata la Regione Puglia, poi l’Emilia-Romagna e i Comuni di Bologna e Rimini: tutti hanno sospeso i rapporti istituzionali con l’esecutivo di Tel Aviv e tutti i soggetti a esso riconducibili, "che non siano apertamente e dichiaratamente motivati dalla volontà di porre fine al massacro in corso, fino a che il rispetto del diritto internazionale non venga ripristinato". La decisione dell’Emilia-Romagna, aveva spiegato il presidente de Pascale, è stata assunta "a fronte delle gravissime violenze in atto a Gaza e in considerazione del procedimento internazionale nei confronti del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, per crimini di guerra e contro l’umanità".