Venerdì 11 Luglio 2025
BRUNO VESPA
Politica

La maggioranza e il referendum. Squadra che vince, litiga lo stesso

La77esima consultazione popolare della storia repubblicana si è infranta di fronte al quorum mancato. FdI, Lega e FI ne sono usciti rafforzati, ma le tensioni interne rischiano di vanificare il vantaggio.

La77esima consultazione popolare della storia repubblicana si è infranta di fronte al quorum mancato. FdI, Lega e FI ne sono usciti rafforzati, ma le tensioni interne rischiano di vanificare il vantaggio.

La77esima consultazione popolare della storia repubblicana si è infranta di fronte al quorum mancato. FdI, Lega e FI ne sono usciti rafforzati, ma le tensioni interne rischiano di vanificare il vantaggio.

VespaIl mondo è in fiamme, bisogna allacciare le cinture e anche se non c’è un pericolo imminente che ci riguardi, l’elettorato che ha portato Giorgia Meloni al governo non capisce le liti nella maggioranza quando i problemi interni ed esterni sono altri. Facciamo un passo indietro. Il referendum è andato malissimo per chi lo ha proposto, sostenuto e appoggiato. 77 referendum in meno di 80 anni contro i tre celebrati in Germania nello stesso periodo hanno disaffezionato l’elettorato. Come ha osservato un giurista insospettabile come Sabino Cassese, l’abuso di questo istituto rischia di mettere in crisi la democrazia parlamentare che è alla base della Repubblica. Soprattutto se lo scopo primario dei sostenitori del referendum, come è avvenuto nell’ultimo caso, è collaterale ai complicatissimi quesiti.

È stato usato per dare una spallata alla maggioranza, liquidare i resti del Pd di Renzi padre del Jobs Act, sperimentare la tenuta del ‘campo largo’ facendo del referendum la prova generale delle prossime elezioni politiche con l’immancabile vittoria del centrosinistra. Il fallimento è stato completo. La maggioranza non è stata scalfita, Renzi ridacchia, il M5S (ma anche il 20% del Pd) ha trasformato il quesito sulla riduzione a 5 anni del limite per ottenere la cittadinanza in una sorprendente Waterloo. Si aggiunga che se il grande sconfitto è Maurizio Landini (per stessa onesta ammissione del segretario della Cgil) ci si chiede se la perfetta coincidenza delle sue posizioni con quelle di Elly Schlein (il termine ‘appiattimento’ è inelegante) abbia giovato al Pd.

Intendiamoci: la segretaria è forte, i sondaggi quotano il partito al 22/23% e non è peregrina l’idea di convocare un congresso straordinario per l’inizio del ’26 per blindare la sua candidatura contro una minoranza sempre più rumoreggiante che starebbe pensando al sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, come possibile alternativa. Si aggiunga che il mondo sindacale non è mai stato diviso nella sua storia come oggi con la Cisl contraria ai referendum, contraria al salario minimo e ormai vicina al governo Meloni con l’assunzione da parte dell’ex segretario Sbarra del ruolo di sottosegretario per il Sud, delega avuta a suo tempo da Fitto. Questo rafforza oggettivamente la maggioranza nel Mezzogiorno, già feudo del M5S grazie al reddito di cittadinanza ormai scomparso anche nei ricordi.

In una condizione del genere, con i numeri dell’economia tutti positivi, con la produzione industriale che torna leggermente a salire dopo più di due anni, con il made in Italy (dati di ieri) che tiene botta nonostante i dazi, le liti tra Salvini e Tajani risultano incomprensibili all’elettorato di centrodestra. (Come lo sono al centrosinistra quelle nel ‘campo largo’). Lo sono al punto che è in corso un dialogo tra Lega e Forza Italia a proposito del terzo mandato. Che risolverebbe il problema Zaia in Veneto e aprirebbe un grave problema al Pd in Campania, dove De Luca vorrebbe ricandidarsi e perfino in Puglia dove pure Emiliano si era rassegnato a cedere il posto a Decaro. Si apra la finestra, si guardi fuori e ci si chieda: perché non arrivare serenamente alla fine della legislatura?