Secondo Ignazio La Russa, neo-presidente del Senato, "un posto da capogruppo vale quanto un ministero", come a indorare la pillola. Sarà. Certo è che la bruciatura ancora c’è. Insomma, un ministero è tutt’altro belvedere. Tutt’altro bel vivere. Ma lei, Licia, figlia di carabiniere, come ha ricordato – ergo abituata a "obbedir tacendo" (non proprio lo ha fatto in verità, in questa fase) – si è acconciata alla bisogna. Il “Capo“, Silvio Berlusconi, ha ricevuto troppe pressioni, per far nascere questo governo a guida Meloni, quindi inutile sottilizzare. O farsi il sangue amaro.
La vendetta, però, come si sa, è un piatto che va servito freddo. E, allora, ecco la nomina, peraltro assai prevedibile, a capogruppo al Senato di FI. Un posto cruciale. Anche perché fa il paio con la nomina – a sorpresa – di Alessandro Cattaneo (lo ha scoperto dalla tv), per giorni in predicato di farlo pure lui, il ministro, capogruppo alla Camera, il quale è un altro suo fedelissimo. E dato che la Bernini e Paolo Barelli, cioè i due capigruppo uscenti, erano due “tajanei“ (legati, cioè, ad Antonio Tajani, presto ministro degli Esteri e dunque obbligato a girare il mondo) entro breve potrebbe arrivare per Licia l’altra nomina, tutta politica, a coordinatrice nazionale di FI. Un cumulo di cariche che segnerebbe la definitiva “ronzullizzazione“ (e, dunque, militarizzazione) di un partito che, già da mesi, si regge con fatica. Insomma, per i moderati (tajanei e non) la vita si preannuncia grama. Senza dire che la Ronzulli e i suoi daranno filo da torcere pure al governo Meloni, i cui numeri – specie al Senato – sono saldi, ma non saldissimi. Potrebbero, addirittura, diventare un po’ ballerini, in corso di legislatura.
Su di lei le storie abbondano e non tutte positive. Classe 1975, milanese, carriera politica ormai già lunga (è stata europarlamentare, senatrice ecc.), Licia è detta “la zarina“. A lungo filo-salviniana (il legame di ferro con Salvini, però, ora si è rotto: lui non ha speso una parola una per difendere lei), non appena è stata nominata coordinatrice di FI in Lombardia, la Gelmini e i suoi hanno battuto la porta per andarsene armi e bagagli con Calenda.
Arci-nemica della Meloni e di chiunque, a suo dire, metta in discussione il Cav, la Ronzulli, in pratica, le liste elettorali di FI le ha scritte di suo pugno. Per i dolori di una serie di azzurre (Prestigiacomo, Calabria, Giammanco, Tartaglione ecc.) che si sono ritrovate, dall’oggi al domani, sbalzate o in posizioni ineleggibili. In pratica, una vera e propria strage. Non che ai maschietti sia andata molto meglio: Giacomoni, Palmieri, Valentino Valentini, storico interprete e ambasciatore del Cav, sono stati, a loro volta, depennati dalle liste con un banale tratto di penna.
Il partito, insomma, nei gruppi parlamentari, è stato modellato a immagine e somiglianza sua: via i moderati, i liberal, dentro i pretoriani, i duri. Del resto, lei è diventata l’ombra, l’alter ego, del Cav (la “badante“, figura ormai mitologica, alla corte del Cavaliere, non le renderebbe onore).
Non la sopportano in parecchi (Gianni Letta, Gianni Confalonieri, i figli Marina e Piersilvio), ma gode della stima imperitura di Berlusconi. Che ora dice: "Conosco la senatrice da 30 anni è brava in tutto quello che ha fatto, sarà brava anche in questo ruolo". E ha dato indicazioni di voto per il duo Ronzulli-Cattaneo, aggiungendo, non a caso, "sono il fondatore del centrodestra". Excusatio non petita, accusatio manifesta. Oggi, il Cav, senza la “cara Licia“, FI non la governa.