Berlusconi-Meloni, la diagnosi di Pomicino. "A una certa età basta con la politica"

Il vecchio leone Dc: "Anche i vescovi a 75 anni si ritirano. Il Cavaliere ha scarsa lucidità, Meloni invece ha intelligenza politica". L’opposizione? "In stato confusionale, con tre tronconi nemici"

"A una certa età bisogna smettere di fare politica. E, infatti, non a caso, nella Chiesa, che ci insegna tutto, i vescovi a 75 anni si dimettono motu proprio. Da quel momento il vescovo è sempre tale, ma non ha più impegni operativi". Ricorre a una metafora, traendola dal diritto ecclesiastico, un grande vecchio della politica italiana, un ex ministro democristiano come Paolo Cirino Pomicino, per suggerire a Silvio Berlusconi una via d’uscita equilibrata e onorevole dopo la débâcle al Senato e l’inasprimento ulteriore dei rapporti con Giorgia Meloni.

Si aspettava un inizio di legislatura con i fuochi d’artificio nella maggioranza?

"Le vicende di questi giorni dimostrano tre cose: l’intelligenza politica della Meloni, la scarsa lucidità e flessibilità di Berlusconi, la confusione delle opposizioni che non sono minimamente in grado neanche di ipotizzare un’alternativa alla leader di Fratelli d’Italia".

Silvio Berlusconi al voto per il presidente del Senato (ImagoE)
Silvio Berlusconi al voto per il presidente del Senato (ImagoE)

Cominciamo dal caso eclatante della rottura al Senato: uno scontro che non sembra chiuso. Perché la Meloni ha avuto, per il momento, la meglio?

"Lei, dopo l’incontro della mattinata con Berlusconi, ha capito che lui (o, più verosimilmente la Ronzulli) erano tentati di far mancare i propri voti a Ignazio La Russa. A quel punto ha organizzato o ha dato il via libera all’apertura del paracadute per l’elezione del suo candidato: ci è riuscita. E, dunque, ha avuto l’intelligenza politica rapida di chi capisce il gioco e organizza la reazione vincente".

Perché il Cavaliere ha perso?

"Berlusconi è diventato più lento e non è più completamente se stesso. Non è mai stato legato a una candidatura invece che a un’altra. Non lo è mai stato nel passato: ricordo il caso di Cesare Previti che doveva andare alla Giustizia, ma fu dirottato alla Difesa. Il Cavaliere fece buon gioco a cattiva sorte, dimostrando la flessibilità che aveva. Eppure, riteneva che Previti alla Giustizia gli avrebbe potuto rendere servigi rilevanti rispetto alla persecuzione giudiziaria che si avviava nei suoi confronti".

E invece in questo passaggio si è irrigidito?

"Sì. Il Berlusconi di ieri era flessibile su cose molto più significative, mentre in questa occasione ha avuto quasi una regressione infantile, insistendo su una parlamentare di tutto rispetto, ma che è solo una parlamentare, niente di più. Il punto è che a una certa età si rischia di essere mentalmente più fragili e anche più deboli. E lo dico avendo un’età che non è quella di Berlusconi, ma non è lontana. Ed è per questo che bisognerebbe farsi da parte e seguire l’esempio di Santa Madre Chiesa".

La frattura, con gli appunti del Cav e la reazione della Meloni, rischia di allargarsi?

"Intanto un danno è fatto. Berlusconi ha esposto il suo partito e se stesso a una pessima figura. Con la conseguenza che la coalizione vincente, che avrebbe potuto dare l’immagine di una legislatura solida, ha subito dimostrato che questa compattezza non c’era. E solo per la Ronzulli. Il che mi fa pensare che non si ha più la consapevolezza della importanza delle delle cose, commettendo errori come quelli visti".

Ci saranno conseguenze per la formazione e la tenuta del governo?

"La vicenda ha mostrato che se Berlusconi non capisce la lezione perderà rapidamente una serie di parlamentari che non saranno più disposti a seguirlo. Anche la Meloni, però, deve rendersi conto che è una virtù non modificare una convinzione, ma può essere anche una rigidità e un problema".

L’opposizione non sta messa meglio. Anzi.

"I voti al Senato e alla Camera dimostrano quantomeno la confusione delle opposizioni, con tre tronconi l’uno contro l’altro armati. Ma, dall’altro lato, indicano, soprattutto i voti di Palazzo Madama, che non solo non ci sono alternative alla Meloni e a Fratelli d’Italia in questa legislatura, ma che la stessa Meloni può partire con la prospettiva di poter ampliare il suo consenso e il perimetro della maggioranza o su singoli provvedimenti o su vicende più generali".

Insomma, non sarà il Parlamento il terreno più difficile per il nuovo esecutivo.

"No. I problemi veri e enormi che ha davanti il nuovo governo sono altri: nell’immediato la crisi energetica e, più strutturalmente, la crisi del sistema politico. Per la prima vicenda è inutile continuare a dare ristori alle famiglie e alle imprese o attendere che si arrivi al tetto al prezzo del gas se lasciamo agire liberamente il meccanismo del rialzo dei prezzi della Borsa di Amsterdam. E, dunque, se davvero la Meloni vuole tentare di superare questa fase è bene che punti con forza a trovare alleati in Europa con due obiettivi: la modifica o la chiusura della Borsa olandese del gas e l’istituzione, come si è fatto durante la pandemia, di un acquirente unico (che potrebbe essere anche la Germania per tutti) per il gas".

Ritiene che la Meloni possa affrontare anche la seconda grande questione, la crisi del sistema politico?

"Tra i leader dei presunti partiti di oggi la Meloni è decisamente il segretario più politico e gli elettori lo hanno capito. Resta il dato di fondo: anche il suo esecutivo avrà la maggioranza in Parlamento, ma sarà minoranza nel Paese. Questa campagna elettorale ha definitivamente mostrato il fallimento per l’Italia della cosiddetta seconda Repubblica, messa in pista nel ‘92-’94 dal Pci e da un gruppo di pubblici ministeri politicizzati, sulla base di un modello a tre pilastri: partiti personali, azzeramento delle culture politiche storiche, maggioritario. C’è da augurarsi che si ponga mano al disastro istituzionale e economico di questi 28 anni di bassa crescita e degrado politico".

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