
Le proteste dell’opposizione. Premierato e separazione delle carriere verso la calendarizzazione in estate. Malumori della Lega per i ritardi sull’Autonomia differenziata. Mattarella vede il capo della polizia.
Avanti tutta a rotta di collo e, forse, non solo per modo di dire. Ieri la Camera ha approvato, tra le proteste, il dl Sicurezza con 163 sì. Ha voglia l’opposizione di urlare ’vergogna’, di mostrare cartelli con su scritto "decreto paura", "la democrazia non si piega": il copione è messo nero su bianco. Ci sarà un passaggio più veloce della luce al Senato: il 3 giugno mattina sarà in commissione, il pomeriggio in Aula. Come successo a Montecitorio, il provvedimento verrà blindato con la fiducia. Perché tanta fretta? In parte anche per rabbonire la Lega inviperita per i tempi lunghissimi dell’Autonomia differenziata: il disegno di legge delega sui Lep, varato dal Consiglio dei ministri il 19 maggio, ancora non è stato bollinato dalla Ragioneria dello Stato. Almeno Matteo Salvini può dire di aver imposto il pugno durissimo: "Sono molto soddisfatto del testo", avverte.
Il rischio di rompersi il collo però c’è: al Quirinale il decreto sicurezza non piace affatto. Il Presidente aveva chiesto alcune modifiche, ma pare non sia soddisfatto di quelle effettuate. La Corte costituzionale incombe e, in caso di probabili ricorsi, non si può dare per scontato il disco verde della Consulta. Accelerazione per accelerazione a sorpresa ieri la maggioranza, su input della premier, ha chiesto nella conferenza dei capigruppo di Montecitorio di portare in Aula entrambe le riforme costituzionali in campo: la giustizia, ed era prevedibile, ma anche il premierato e questo invece era imprevisto. "Ora che la commissione si è liberata c’è tempo di concludere le audizioni e si potrebbe teoricamente ipotizzare un approdo in estate", ha spiegato nella riunione il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani. La mamma di tutte le riforme era chiusa nel cassetto da mesi, tirata fuori solo per essere sbandierata ogni tanto in qualche comizio. In realtà la premier, si sa, non ha alcuna intenzione di sfidare l’ordalia referendaria prima delle prossime elezioni politiche. E allora? Niente paura, i tempi non cambiano.
Così come è la riforma è impresentabile, Giorgia è decisa a modificare almeno i passaggi più incresciosi: la legge verrà cambiata alla Camera, e poi seguiranno altri tre passaggi parlamentari. Approvazione e referendum nel corso di questa legislatura sono fuori discussione. In realtà neanche i tempi della giustizia escono alterati dalla rincorsa di facciata. La separazione verrà approvata entro metà giugno a Palazzo Madama, incardinata a luglio alla Camera, votata a settembre per arrivare poi all’ultimo step al Senato. Insomma referendum entro la fine della prossima primavera o in autunno. Come previsto. L’opposizione strepita, denuncia le forzature: "Evidentemente — attacca la presidente dei deputati del Pd, Chiara Braga — dopo il decreto sicurezza la spartizione tra le forze di maggioranza si è rimessa in moto. Non siamo disponibili ad accettare altre compressioni dei tempi".
In realtà la sensazione è che la premier voglia restituire al Paese l’impressione di un governo attivo e alacre. Fin qui, si è giocata la partita soprattutto sul fronte internazionale, riportando molti successi di immagine che non vanno trascurati e alcuni di sostanza. Quel gioco non funziona più. Il palcoscenico della politica internazionale è diventato un campo minato. Più che di vantare successi, la presidente del Consiglio deve preoccuparsi di non essere travolta dai numerosi venti di crisi. Tra le tante prove del mutamento di scenario c’è il report del Consiglio d’Europa che sollecita il governo a studiare il razzismo tra le forze di polizia, fatto che l’ha mandata su tutte le furie. Qui almeno può contare, in nome dell’amor patrio, sul sostegno di Sergio Mattarella: come annunciato, ieri il presidente ha incontrato il capo della polizia, Vittorio Pisani. Un gesto di solidarietà, che assume il senso di uno scudo in difesa delle forze dell’ordine.
Insomma, Giorgia sente il bisogno di tornare a guardare alla politica interna e a rispolverare la promessa di riscrivere le regole della Repubblica da capo a piedi. Che basti a uscire dalle difficoltà in cui si trova è tutt’altro che certo.