Giovedì 18 Aprile 2024

Per chi suona la medaglia

I successi sportivi hanno sempre un dividendo politico. Ecco chi lo può incassare meglio

Marcell Jacobs al telefono con Draghi (Ansa)

Marcell Jacobs al telefono con Draghi (Ansa)

Da quando esiste come fenomeno di massa, lo sport non è mai stato un elemento neutro per la politica. Moltiplicatore di grandi emozioni collettive, qualsiasi successo ottenuto sotto le bandiere tricolori ha infatti un effetto indotto nel campo della narrazione pubblica. Gli Europei di Londra e i trionfi di Tokyo hanno avuto così significati meta-politici che leader, partiti, gruppi di opinione hanno cercato di colorare a proprio piacimento. Ovviamente piegando il vero e il falso alle proprie convenienze. Il successo della nazionale di Mancini è stato così raccontato come l’affermazione del più autentico spirito italiano, quello di chi dopo una sconfitta sa subito rialzarsi (vero solo in parte: eravamo rimasti fuori dai mondiali ma sei undicesimi del team di Mancini nel 2018 non avevano l’età), oppure come la vittoria del gruppo e non del singolo, con il fine anche qui di esaltare la "squadra Italia" del dopo-pandemia (narrazione falsa: cinque giocatori di Mancini erano nel top 11 della Uefa, il miglior giocatore è stato un italiano).

Adesso è il turno di Tokyo, e pure qui i politici fanno a gara a indirizzare il sentimento collettivo per trarne poi vantaggio. Anche se i due dati politici più nitidi prodotti dalla doppietta Tamberi-Jacobs e più in generale dalle altre medaglie tricolori già fanno capire chi potrà davvero avvantaggiarsene. Il primo prodotto è un inatteso e quasi inedito sentimento di fiducia e di orgoglio italiano, il secondo è la discussione che ha iniziato a sorgere sull’origine in qualche modo "multietnica" di alcuni titolo ottenuti. L’"italian proud", il brand Italia che si rafforza, il fatto che giornali stranieri parlino di noi a volte non riuscendo a nascondere anche il naturale rosicamento (vedi i gratuiti sospetti Usa su Marcell Jacobs) è tutta farina che in qualche modo finirà dalla parti di Mario Draghi. In fondo, prima dei successi di Mancini e degli atleti azzurri, non era stato lui che aveva fatto rialzare il borsino delle azioni dell’Italia nei consessi che contavano? La prima medaglia d'oro era stata indubbiamente la sua.

L’elemento della multietnicità non avrà invece un vincitore ma potrebbe avere un perdente. La discussione non è nuova perché è ormai una decina di anni che fanno regolare comparsa nelle nostre nazionali atleti nati e provenienti dall’estero, ma certamente si cercherà a metterla in conto a Matteo Salvini. In qualche modo ci ha provato il presidente del Coni Giovanni Malagò quando ha parlato di "ius soli sportivo", peraltro con motivazioni almeno dal suo punto di vista ineccepibili, e ci hanno provato qua e là commentatori e politici di sinistra. Niente di troppo rilevante, perché si tratta di atleti italiani nati da genitori italiani o che dopo i 18 anni hanno richiesto e ottenuto la cittadinanza italiana come prevede la legge che anche la Lega condivide, ma insomma in certi casi tutto quanto fa spettacolo. Vuoi mettere, penseranno a sinistra, la faccia di Salvini che tifa un italiano di colore?