Giovedì 18 Aprile 2024

La Russa, le foibe, il ricordo: "È tempo di una storia condivisa e di verità"

Il presidente del Senato: ma non esiste un pensiero unico sulle interpretazioni del passato. "A nascondere la pulizia etnica fu anche la Democrazia Cristiana, non soltanto il Pci"

Presidente La Russa, era davvero così importante che si parlasse di foibe a Sanremo?

"No, tanto che io non l’ho chiesto. Non sarà l’inserimento tra i temi del festival – alcuni per me discutibili – a decidere il ricordo o l’oblio di una vicenda tragica come quella. Anzi, la scelta può apparire una foglia di fico. Io devo confessare che Sanremo mi annoia: non l’ho visto. Ho fatto registrare e, ammetto che mi ha fatto piacere guardare, la parte più bella: l’esibizione di Gianni Morandi, di cui sono amico, Al Bano e Massimo Ranieri. Ma un conto è lo spettacolo, altro le foibe".

Il capo dello Stato, però, è andato al Festival.

"E ha fatto benissimo: mi sono complimentato di persona poco fa al Quirinale. Il fatto che il presidente della Repubblica vada ovunque quando si parla di Costituzione – al di là di quello che si dice – non è mai un male. E ho tenuto a ringraziarlo anche per le celebrazioni sul Colle del Giorno del Ricordo, dove sono stati commemorati i massacri delle foibe e l’esodo dei 350mila istriani, fiumani e dalmati che nel dopoguerra furono costretti a lasciare le loro case".

La memoria, come ha detto il presidente della Repubblica, dovrebbe servire ad unire. Può una ’par condicio’ delle atrocità ricucire le ferite o, al contrario, le perpetua?

"Non si può parlare di par condicio. Ogni vicenda è una storia a sé. Voglio essere chiaro: è impossibile fare un paragone con la Giornata della Memoria, storia ancora più estesa nei numeri e nella dimensione internazionale. Ma tutte queste vicende vanno vissute giorno per giorno".

Come si superano le divisioni tenendo salda la realtà storica, considerando cioè che c’è una ragione e un torto?

"Non chiedo e non penso che bisogna eliminare le differenze, ma bisogna avere una storia condivisa che parte dalla verità. È una verità l’orrenda vicenda della persecuzione degli ebrei. Ed è una la verità che va guardata in faccia quella delle foibe, dove vi fu un odio bestiale e una pulizia etnica per anni tenuta nascosta per motivi politici non solo dai comunisti, ma anche da chi non voleva metterli in imbarazzo. Nella prima Repubblica governava la Dc, non il Pci".

In passato c’è stata sicuramente una rimozione: il problema esiste ancora?

"Il capo dello Stato che ne parla, alcuni dirigenti di sinistra che fanno altrettanto è la dimostrazione che tanta strada abbiamo percorso in questi anni. Posso dire che il crinale è stato l’approvazione nel 2004 della legge che ha istituito il Giorno del Ricordo. Fino ad allora, quella tragedia veniva o ignorata o sminuita: resta però la necessità di sottolinearne il ricordo".

All’epoca, lei era presidente dei deputati di An e fu il secondo firmatario della legge.

"Lasciai che il primo fosse Roberto Menia, figlio di quelle terre. Ad essere sincero, però, sono orgoglioso non tanto di averla firmata, quanto di avere lavorato perché avesse una maggioranza amplissima, cosa che non era per nulla scontata. Alla fine, invece, furono solo 12 deputati dell’ultra-sinistra che non votarono il provvedimento".

Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione comunista, rivendica il voto contrario e dice che le foibe sono un’invenzione fascista.

"Sono contento che non abbia votato la legge. Uno che la pensa così e che, per fortuna, non l’ha votata, dà più valore alla stragrande maggioranza che l’approvò".

A proposito di gesti: perché l’altro giorno a Basovizza si è inginocchiato?

"Lì si respira un sentimento di necessità di un ricordo religioso tanto che, alzandomi, mi sono fatto il segno della croce. Come disse il presidente Francesco Cossiga, noi dobbiamo chiedere perdono a coloro che sono stati infoibati e ai nostri connazionali di Istria, Dalmazia e Fiume quando – pur di rimanere italiani – scelsero di lasciare i luoghi in cui erano nati. Di fronte a loro e al ricordo di coloro che persero la vita, inginocchiarsi è fin troppo poco".

L’Italia è un paese abituato a usare il passato come arma contundente per dare battaglia politica agli avversari nel presente. Come si può abbandonare questo costume?

"La soluzione è la storia condivisa e il rispetto delle opinioni altrui. L’ostacolo in tal senso, secondo me, è l’obbligo del pensiero unico sulle interpretazioni della storia. Io credo che il pensiero unico, ovvero l’assenza di differenziazioni, sia obbligatorio nei confronti della libertà e della democrazia, sancite nella prima parte della nostra Costituzione repubblicana. Ma non si può essere obbligati ad avere, all’interno di queste Colonne d’Ercole, l’identica valutazione di ogni aspetto del passato. Ad esempio, sul Ventennio tra De Felice e Scurati, scelgo la lettura che ne fa De Felice. Non devo essere costretto a dire ’viva Scurati’, che peraltro mischia per sua stessa ammissione storia e fantasia".

Per essere chiari: cosa può unire tutti nella memoria?

"La verità è, come ho detto, il rispetto di queste Colonne d’Ercole insuperabili come per esempio la condanna delle leggi razziali e della privazione della libertà, e la scelta della democrazia senza ritorno".