Lunedì 28 Aprile 2025
ANTONELLA COPPARI
Politica

Dazi, il ministro Foti: “A negoziare sarà la Ue. La Cina? Non è una strada”

Il titolare degli Affari europei: l’Unione deve restare con l’Occidente "L’obiettivo è portare il nostro Paese a 700 miliardi di euro l’anno di export".

Dazi, il ministro Foti: “A negoziare sarà la Ue. La Cina? Non è una strada”

Roma, 11 aprile 2025 – La settimana prossima la premier sarà a Washington di fatto, pur se non formalmente, come una sorta di esploratrice per conto dell’Europa: difficilmente, però, potrà dimenticare di essere anche il capo del governo italiano. Per il ministro per gli Affari europei, Tommaso Foti (nella foto), non ci sono dubbi: "La trattativa la fa l’Europa, ma noi dobbiamo cercare di facilitarla".

Quindi la missione di Giorgia Meloni sarà quella di agevolare il negoziato per l’Europa?

Intervista al ministro Foti: "A negoziare sarà la Ue. La Cina? Non è una strada"
Tommaso Foti, ministro degli Affari europei

"Ma insomma non è che la premier va a parlare solo di dazi. Fino a dieci giorni fa si parlava solo di Ucraina e adesso, invece, è scomparsa dai radar. La realtà è che Giorgia Meloni va a parlare di tutto, e naturalmente anche a rappresentare le posizioni emerse dalle diverse riunioni del consiglio europeo".

Quale spazio c’è in concreto per il negoziato sui dazi?

"Per me ci sono margini ampi. È vero che, per quanto riguarda il settore delle merci, la quota di esportazioni dell’Europa verso gli Stati Uniti è superiore a quella degli Usa verso il nostro continente, e dunque pesa sulla bilancia commerciale americana. Ma è altrettanto vero che a livello di servizi la bilancia si inverte: a conti fatti, su 1500 miliardi di transazioni, lo squilibrio a svantaggio degli americani è di 42-45 miliardi. Quindi direi che ci sono ampie possibilità, a partire da quella migliore che sarebbe arrivare a un’area di libero scambio Usa-Europa con dazi zero a zero".

Lo shock dei dazi ha spinto l’Europa e l’Italia ad accelerare nella ricerca di nuovi mercati. Proseguiremo su questa strada anche dopo la parziale retromarcia di Trump?

"Intanto non è detto che, come è tornato indietro, poi non ci ripensi: non sappiamo cosa ha in mente. E comunque, un paese esportatore ha sempre l’interesse a tenere gli occhi sul maggior numero di mercati, purché redditizi. L’obiettivo è portare l’Italia a raggiungere 700 miliardi di euro di export l’anno, con un aumento del 10% rispetto alla situazione attuale. A prescindere dal fatto che ci siano o meno i dazi americani".

Tra questi mercati uno di quelli potenzialmente più importanti è la Cina. Ma nello scontro durissimo in atto tra Usa e Cina noi possiamo essere equidistanti?

"Io sono dell’avviso che ci si schiera sempre a favore di qualcosa e non contro. Ma penso che l’Europa abbia come missione strategica di continuare a stare dalla parte dell’Occidente".

La ricerca di un mercato in Cina non è prioritaria?

"Non mi pare che oggi non ci sia un mercato con la Cina. E comunque non ritengo che sia quella la strada: è chiaro che se sto con l’Occidente, ora non posso essere equidistante".

Prima accennava all’Ucraina scomparsa dai radar: non si capisce se per l’Europa la condizione per arrivare alla pace sia il ritorno ai confini del 2020.

"Stiamo correndo troppo. Sarebbe già molto se l’Europa sedesse al tavolo delle trattative, ammesso che queste vadano avanti. Mi auguro che Trump riprenda l’idea di un tavolo di pace anche per capire se Putin vuole davvero la pace, come alcuni suoi rappresentanti hanno garantito. Tenendo comunque presente che non basta volere la pace, bisogna passare dalle parole ai fatti e chiudere un accordo".

Se Trump si smarca dalla guerra, l’Europa è in grado di sobbarcarsi tutto il peso del sostegno all’Ucraina?

"Io spero che si arrivi presto alla pace. Una pace che non deve prescindere dal fatto che è stata la Russia ad invadere l’Ucraina e non viceversa".

Francia e Gran Bretagna procedono sulla strada, sgradita alla Russia, della forza di interposizione. Come valuta l’ iniziativa?

"Mandare una forza di interposizione con la guerra in corso vuol dire entrare nel conflitto: non credo che né Francia né Gran Bretagna vogliano entrare nel conflitto. Di queste cose, come già detto e ripetuto, si potrà parlare solo dopo la pace".

La Nato chiede di destinare alle spese militari il 5% del Pil: noi però dobbiamo ancora arrivare al 2% già concordato. Ce la faremo quest’anno?

"Quello del 2% è un impegno assunto dieci anni fa, certo non da Meloni. Lei deve pagare il conto. Dobbiamo farlo: pacta sunt servanda".

La posizione del governo sul riarmo sembra ambigua: in Parlamento ieri ve la siete cavata con uno stratagemma, senza cioè citare il riarmo.

"Non mi pare che chi l’ha citato abbia fatto una grande figura: l’opposizione ha presentato 6 mozioni, una diversa dall’altra".

Le divisioni nell’opposizione pesano, meno però di quelle di una maggioranza di governo.

"Avevano detto che partivano dalla piazza per costruire un’alternativa di governo. A me pare invece che c’è una maggioranza di governo che esprime una posizione politica unanime, e un’opposizione che esprime un bailamme".