Roma, 1 novembre 2023 – "Parliamo ancora di bozze e già siamo al regolamento dei conti finale: noi desideriamo invece entrare nel merito, perché la riforma la vogliamo fare". Enrico Borghi, presidente dei senatori renziani, conferma che Italia viva intende sedersi al tavolo della discussione con la maggioranza sull’elezione diretta del premier.
È il richiamo della foresta? Volete riallacciare il filo del discorso interrotto con il referendum del 2016?
"Se dovessimo render pan per focaccia, visto l’atteggiamento fazioso con cui destra e sinistra hanno affrontato la stagione riformatrice di Renzi, dovremmo chiudere le porte, ma a noi interessa il bene di un Paese che aspetta l’ammodernamento istituzionale da quarant’anni. In tempi non sospetti abbiamo detto che siamo favorevoli all’elezione diretta del capo dell’esecutivo e non ci tiriamo indietro, anche perché questo modello è coerente con il sistema di governo di regioni e comuni. Ma bisogna fare bene la riforma".
Il testo presentato lunedì dalla ministra Casellati prevede che il premier scelto dagli elettori possa essere sostituito. Non è una contraddizione?
"Assolutamente sì. In caso di sfiducia del Parlamento bisogna obbligatoriamente tornare alle urne, ovvero alla fonte primaria della legittimazione che è il voto popolare".
Altro che premierato ’soft’.
"Le cose fatte a metà rischiano di essere disarticolate. A me non disturba il voto di fiducia per un premier eletto dal popolo, ma il fatto che in Costituzione si preveda il premio di maggioranza comporta una discussione in simultanea della legge elettorale. La maggioranza deve discutere del modello che ha in testa".
Una cosa è certa: per aspirare al premio, bisogna aggregarsi. Non è contro il vostro obiettivo di disarticolare i poli?
"Non siamo contro la democrazia dell’alternanza, ma diciamo che serve una coerenza di sistema".
È coerente un sistema che propone un premio di maggioranza senza indicare la soglia minima con cui scatta?
"Assolutamente no. Queste bozze non stanno tenendo conto di una sentenza della Corte Costituzionale sul Porcellum che stabilisce le soglie minime".
Di fatto si passa da una Repubblica parlamentare a una Repubblica basata sul premierato. Non vi disturba?
"In tutti i sistemi ad elezione diretta del capo dell’esecutivo, che siano presidenziali o semipresidenziali, vi è un preciso ruolo attribuito ai parlamenti in termini di controllo e di indirizzo. Qui bisogna potenziare il ruolo del Parlamento: il primo ministro deve avere il potere di governare, ma non deve essere il padrone della maggioranza e delle istituzioni".
C’è chi paventa uno scontro tra primo ministro e presidente della Repubblica.
"Se un sistema è coerente gli equilibri sono compensati tra di loro".
Insomma, come dovrebbe essere per Italia viva il testo che il governo varerà venerdì per poterlo votare?
"Dovrebbe riprendere i contenuti del disegno di legge che noi abbiamo presentato al Senato. Fermo restando che, dal punto di vista della forma, sarebbe stato meglio avviare la discussione in sede parlamentare invece di farla partire dal governo".
La doppia marcia istituzionale, ovvero un premierato che accentra i poteri e una autonomia che li decentra, non crea incongruenze?
"La contraddizione è insita nella maggioranza. Non a caso la bozza Casellati è frutto di equilibrismi interni".
Nel 2016 il referendum non fu sulle riforme ma su Renzi: stavolta non si rischia uno scontro all’ultimo sangue tra fan e detrattori dei poteri assoluti del premier?
"Assolutamente sì. Bisogna evitare a tutti i costi che un processo di riforma costituzionale si trasformi in regolamento dei conti tra maggioranza e opposizione. Dobbiamo scongiurare un clima di guerra di religione che è esattamente il motivo per cui per 40 anni l’Italia non ha prodotto riforme istituzionali".