Un luglio scomodo

I partiti si dirigono verso il baratro

Migration

Roma, 8 maggio 2018 - L’esito della presente crisi politica assomiglia a quelle storie in cui il protagonista corre verso un precipizio ben conscio di andare a schiantarsi senza però far nulla per fermarsi e mettersi in salvo. Così i partiti si dirigono verso il baratro rappresentato dal voto il 22 luglio, una data che solo a venir tirata in ballo tre giorni fa avrebbe assomigliato più a una barzelletta che a un racconto di fantapolitica. Fino a domenica scorsa uno dei mantra di tutti i commenti, anche tra gli addetti ai lavori, era che con giugno si chiudeva qualsiasi finestra elettorale, e già l’8 luglio era considerato termine impraticabile. Adesso tutto è cambiato. Il bello è che se ti metti nel Transatlantico di Montecitorio e interpelli i protagonisti avanzando dubbi sull’assennatezza di una scelta siffatta, non ce n’è uno che non ti dia ragione, ma poi la sostanza non cambia: la maggior parte delle forze politiche non è disposta ad accettare la proposta del presidente Mattarella circa un governo neutrale, così da guadagnare qualche mese e andare al voto in autunno in maniera più ordinata.

Non si riesce neppure a ipotizzare un rinvio breve delle elezioni, perché per votare a ottobre occorrerebbe sciogliere le Camere non prima di metà agosto, e di conseguenza servirebbe far comunque partire nella pienezza dei poteri il governo neutrale di Mattarella. E così alla sfida della disaffezione verso la politica, cui almeno a parole la classe politica è molto sensibile, si risponde convocando i comizi elettorali quando metà del Paese è in vacanza, provocando un danno evidente a uno dei settori più vitali della nostra economia ossia il turismo, per di più proponendo la stessa legge elettorale che ha offerto una prova tanto fallimentare. Se andrà a finire in questo modo, ed è molto probabile che così accada, tra qualche anno ci ricorderemo di questo passaggio. Forse come tragedia, forse come farsa.