Governo, Pd diviso. Renziani in trincea: mai coi grillini

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Maurizio Martina, segretario reggente del Pd (LaPresse)

Maurizio Martina, segretario reggente del Pd (LaPresse)

Roma, 24 aprile 2018 - "Mai con i 5 Stelle" da una parte. "Andiamo a vedere le carte" dall’altra. In mezzo: "prima però Di Maio chiuda definitivamente il forno aperto con la Lega". Nel Pd è arrivata l’ora del redde rationem con il M5S. Renzi e i suoi non hanno dubbi: nessuno patto coi pentastellati. Non appena l’incarico esplorativo a Fico diventa ufficiale, parte la contraerea, coordinata personalmente dal senatore di Rignano. Parlano, a raffica, il presidente del partito Orfini ("Siamo due partiti radicalmente alternativi, non c’è possibilità di accordo politico"), il capogruppo dei senatori Marcucci ("Mancano anche le condizioni minime per discutere di governo") e poi tutti gli altri. Ma il fuoco di sbarramento renziano ha anche un bersaglio interno: impedire che parta il valzer degli ‘aperturisti’, il partito "ministeriale" che non vede l’ora di dialogare anche col Diavolo pur di restare al governo. 

A Fico mandato per verificare intesa M5s-Pd

Infatti, con l’accorta e discreta regia di Dario Franceschini e di Andrea Orlando, che vuole "andare a vedere le carte" come dice il fidato Antonio Misiani, gli ‘aperturisti’ sono in frenetico movimento da giorni. L’ultimo colpo è stato del sindaco di Milano, Beppe Sala, mentre Francesco Boccia chiede di "convocare urgentemente una Direzione". Ma c’è chi sospetta che presto possano tornare alla carica "quelli che – insinua un renziano con astio – guardano anche al proprio futuro: Prodi e Veltroni aspirano al Quirinale mentre Franceschini pensa più concretamente che un incarico a Fico libererebbe per lui la casella di Montecitorio". Ieri, la prodianissima Sandra Zampa spiegava che il Pd dovrebbe adoperarsi per "far partire un governo dei 5 Stelle, magari con l’astensione" mentre dalle parti del governatore Zingaretti suggeriscono di fare "come nel Lazio", ma a parti invertite: "Il Pd dia l’appoggio esterno a un governo a guida M5S". La terza linea è quella dei renziani soft, trattativisti (Delrio, ma anche Guerini, Rosato, Fassino): predicano "calma e gesso" e dicono che "la partita è complicata, le distanze politiche e programmatiche sono evidenti", ma non chiudono la porta in faccia al M5S a prescindere. Per dirla con Rosato, "quando avranno deciso di chiudere il tavolo con la Lega, sarà più facile confrontarsi" o, come spiega Fassino, "bisogna verificare se esistono le condizioni per un dialogo". 

In mezzo, ovviamente, c’è anche la posizione del segretario reggente, Maurizio Martina, che oggi vedrà Fico con una delegazione composta dai due capigruppo e da Orfini e che dal Friuli chiede "la fine di ogni politica dei due forni e di ogni ambiguità per confrontarsi in leale collaborazione". I pentastellati hanno tanti difetti, ma non sono stupidi: sanno che, se vogliono avere qualche chance di riuscire, devono trattare direttamente con Renzi. E così, nei giorni scorsi, sono stati diversi gli abboccamenti, non smentiti, con il suo fidato braccio destro, il ministro Luca Lotti, che nelle settimane passate ha tenuto aperto anche il ‘forno’ del centrodestra, vedendosi a pranzo con Gianni Letta e Confalonieri. Ma proprio da Renzi sembra arrivare la pietra tombale definitiva su ogni spiraglio di trattativa: "Per fare una maggioranza con i nostri voti, il M5S dovrebbe convincere almeno il 90% dei gruppi Pd...", dice ai suoi. E dato che Renzi i gruppi li controlla in modo ferreo è come dire: senza di me non si farà nulla.

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IL PUNTO Fico, ultima chiamata - di P.F.DE ROBERTIS