Giovedì 25 Aprile 2024

Governo Pd-5 stelle, matrimonio a ostacoli

Di Maio lancia il suo decalogo. Zingaretti apre: quadro su cui si può lavorare

Luigi Di Maio lascia la Camera dopo l'assemblea M5s (Lapresse)

Luigi Di Maio lascia la Camera dopo l'assemblea M5s (Lapresse)

Roma, 23 agosto 2019 - Morta e sepolta a metà mattina. Appesa a un filo per l’intero pomeriggio. Defunta, di nuovo, verso sera. Rinata, anzi resuscitata, come in un miracolo del Vangelo, a sera. Quando i 5 Stelle si limitano a chiedere un incontro al Pd per discutere di un punto solo (il taglio dei parlamentari) e Zingaretti risponde che "il quadro su cui iniziare a lavorare c’è". La trattativa tra Pd e M5S per formare un nuovo governo ha avuto, ieri, un andamento da montagne russe. I pontieri (Franceschini e Delrio per il Pd; D’Uva, Patuanelli e Spadafora, per il M5s) hanno fuso i telefoni per tutto il giorno nel cercare di tenere aperto un filo di dialogo che sembrava ormai spezzato. I pasdaran anti-accordo dei 5 Stelle, da Paragone a Di Battista, hanno fanno di tutto per far saltare l’intesa. Il sito Dagospia, a tarda sera, annovera addirittura Davide Casaleggio tra i quantomeni ‘scettici’ rispetto al dialogo: "Non mi fido del Pd", avrebbe scritto in un sms ad alcuni parlamentari M5s. Immediata la replica di Casaleggio: "È l’ennesima fake news sul mio conto".

I renziani, che da incendiari sono diventati pontieri provetti, tacciono per ore, ma poi, quando credono che il segretario voglia rompere le uova, diventano iene. "Ma come ti permetti?! Vuoi far saltare tutto?!", gli urla il capogruppo Marcucci al telefono dopo l’incontro al Colle. Intanto, Andrea Orlando mette i puntini sulle ‘i’ della proposta chiave 5 Stelle, il taglio dei parlamentari: "Va bene, ma parliamo anche di referendum propositivo, superamento del bicameralismo perfetto e riforma della legge elettorale". Cose che, per farle tutte, altro che i due giorni di cui parlano i 5 Stelle nel comunicato serale che apre al dialogo col Pd. Se va bene ci vogliono due anni.

Al Colle, intanto, entrano ed escono le delegazioni dei partiti. Mattarella si aspettava, più o meno, quello che si sente dire, ma rimane di sale di fronte a tre ‘scenette’. Zingaretti, appunto, taglia i suoi punti da 5 a 3, rendendoli ‘non negoziabili’. Di Maio – che prima rassicura il presidente ("il 90% dei nostri gruppi parlamentari vuole fare un governo con il Pd") e poi, quando parla alla Vetrata, il Pd manco lo cita per nome – di punti ne cita ben 10 e sembrano un programma elettorale. Salvini sembra chiedere un nuovo governo con persino Di Maio premier, più che le urne anticipate. Sfinito, quando esce a dire la sua, la faccia accigliata e indispettita, il Capo dello Stato detta tempi limitati e rimbrotti severi.

M5S e Pd, a sera, ritrovano il bandolo della matassa e, oggi, non è escluso l’incontro risolutore tra Di Maio e Zingaretti. Di certo, oggi pomeriggio si vedranno i capigruppo grillini D’Uva e Patuanelli e quelli del Pd Delrio e Marcucci, insieme a Orlando e Paola De Micheli. A confermarlo è proprio un D’Uva "fiducioso" al termine di una riunione notturna dei vertici M5s: "Una base c’è e siamo tutti persone serie e affidabili".

Il tempo, certo, è poco: sul programma ci si può lavorare, ma sul nome del premier e dei ministri è buio pesto. I nomi che piacciono ai renziani (Cantone, o lo stesso Conte) sono esclusi in partenza da Zingaretti e nomi istituzionali (Cartabia, Flick) vanno bene per un governo elettorale, non certo per un esecutivo politico che deve durare tre anni. Bisognerebbe tirare fuori un nuovo simil-Conte, ma né il Pd né tantomeno M5s, che dovrebbe esprimerlo, lo ha.