Incartati sul solito rebus: la premiership

Matteo Salvini e Luigi Di Maio (Ansa)

Matteo Salvini e Luigi Di Maio (Ansa)

Un'altra giornata passa, tra lo stupore generale per un obiettivo che i protagonisti della vicenda – specie i grillini – definiscono a portata di mano ma che in realtà viene di continuo procrastinato. Per ammissione generale, prima di lunedì sia Di Maio sia Salvini non saranno in grado di salire al Quirinale per il decisivo colloquio con il Capo dello Stato, al termine delle quale o la crisi imbocca l'ultima curva e si sblocca o si parte con il governo neutrale di Mattarella. L'impressione è che ormai i due protagonisti si siano spinti troppo oltre per ingranare la marcia indietro senza dover poi pagare un prezzo salatissimo in caso di elezioni, e che quindi una quadra definitiva si troverà, ma di certo il percorso che ci separa dal momento in cui l'eventuale governo otterrà la fiducia non è agevole. Il nodo è sempre lo stesso, quello del premier. Un nodo non nuovo per la politica, e basta ricordare i duelli rusticani ingaggiati anni addietro da Craxi e De Mita, evocati in questi giorni a proposito di staffetta. Anni diversi, logiche simili.

Dicevamo della premiership. Il problema è che si stanno tentando di tenere insieme logiche diverse: i grillini non vogliono cederla alla Lega, neppure a una figura di secondo piano come Giorgetti, perché avendo il doppio dei voti del Carroccio i Cinquestelle non se la sentono di abdicare al ruolo di guida del governo. I leghisti potrebbero anche farsi da parte, ma certo non con Di Maio a palazzo Chigi: perché sarebbe l'ammissione della sconfitta di un processo politico e perché significherebbe rompere definitivamente con quel che resta del centrodestra, sia con Berlusconi sia con Fratelli d'Italia. Salvini un po' non vuole farlo, un po' non può, perché i voti per lo meno della Meloni servirebbero, e perché teme ripercussioni troppo sanguinose sui territori dove Lega e Forza Italia governano insieme con profitto, da tempo. L'opzione che resta è quindi quella di un grillino che non sia Di Maio, tutt'altro che agevole: i Cinquestelle non possiedono nomi all'altezza, con una comprovata esperienza per lo meno parlamentare, che possano garantire una certa agibilità e passare il vaglio del Quirinale. Si torna quindi alla casella di partenza, quello del nome 'terzo', di cui si è di nuovo discusso. Opzione che lo scorso lunedì non era parsa troppo gradita a Mattarella, cui spetta il potere esclusivo di nomina del primo ministro... Un rebus, quindi, di difficilissima soluzione, che forse solo all'ultimo momento verrà sciolto. Magari sperando in un aiutino dal Colle, anche solo nella forma di un deciso aut-aut temporale, un ultimatum, uno stop che metta uno dei due contendenti di forzare la mano dell'altro.