Governo, la politica estera rilancia i Nazareni

L'ANALISI / L'impossibilità di una alleanza limitata a Lega e Cinquestelle rimette in gioco i democratici

Pd, Maurizio Martina (foto Ansa)

Pd, Maurizio Martina (foto Ansa)

All’improvviso tutti trattano con tutti, e lo fanno sapere. Nell’imminenza di una decisione del presidente Mattarella circa l’incarico, o il pre-incarico, le acque stagnanti della crisi si muovono. Salvini benedice apertamente l’ipotesi di un incarico esplorativo alla presidente del Senato ("Casellati va bene"), Martina butta là tre punti programmatici che sanno tanto di offerta politica ai Cinquestelle, Di Maio non lascia cadere l’apertura dem: "Iniziativa utile". Il menù che si trova di fronte il presidente della repubblica è quindi più ampio di quello che c’era anche solo al termine del secondo giro di consultazioni, così variegato che una "esplorazione" della seconda carica dello Stato si impone. Con una attenzione sempre maggiore alle scelte stretegiche di politica estera, che di fatto - perdurando il veto di Di Maio su Berlusconi, reputato invece un elemento di garanzia atlantica - rilanciano il ruolo dei democratici. 

Tutte le ipotesi sono infatti ancora sul tappeto. Il forno Cinquestelle-Centrodestra si è intiepidito soprattutto per motivi di carattere internazionale, ma non è spento. Servirebbe da una parte che Forza Italia si decidesse ad assumere un profilo meno marcato dall’altra che Luigi Di Maio accettasse la rinuncia alla leadedrship in favore di quel "terzo uomo" di cui ha parlato Matteo Salvini, ambedue condizioni che al momento non ci sono ma che potrebbero anche sopraggiungere. La presenza di Forza Italia in un ipotetico governo Cinquestelle-Centrodestra appare però agli occhi del Quirinale come una condizione, per una elementare esigenza di garanzia internazionale: ovviamente non è scritto da nessuna parte, ma non è difficile ipotizzare che il Colle possa non gradire un’intesa limitata a Movimento 5 Stelle e Lega, nonostante la recente svolta euro-atlantista grillina. Una condizione ab origine che spunta la strategia da sempre adottata da Di Maio, quella di dividere Salvini da Berlusconi. Se i Cinquestelle vogliono la Lega, questa la sostanza, si devono prendere tutto il pacchetto, Forza Italia inclusa. E non si tratta di una sterile impuntatura di Mattarella ma di una condizione dettata dalla realpolitik e dalle alleanze che l’Italia si è liberamente scelta, condizione che peraltro le perduranti dichiarazioni filorusse di Salvini e il mezzo-pasticcio sui programmi grillini (prima anti-Nato, poi frettolosamente emendati con accenti più filo-atlantici) contribuiscono a rendere attuale. 

Nelle ultime ore si è riacceso anche il forno democratico. Forse per l’intiepidirsi dell’altro, fatto sta che il Pd pare uscito dal congelatore. Martina ha buttato lì tre proposte che più che dal reggente del Nazareno sembrano scritte da Beppe Grillo. I Cinquestelle le hanno prese sul serio e hanno di fatto acceso anche il secondo forno. Il cui problema è però la scarsezza di legna a disposizione. Si fa presto infatti a sommare la sigla dei Cinquestelle con quella del Pd e volendo anche di Leu. Il fatto è che i voti sono pochi, e anche se i gruppi votassero compatti la fiducia decisa dai leader la maggioranza sarebbe risicatissima, esposta al minimo refolo di vento parlamentgare. Soprattutto necessiterebbe dell’adesione di tutto il Pd, renziani inclusi. Cosa possibile, certo, ma solo a patto che i grillini mettano sul piatto una sostanziale variazione nell’offerta al Nazareno avanzata un mese fa, un puro e semplice sostegno a un governo Di Maio. Anche in questo caso, è probabile che il prezzo da pagare per i Cinquestelle sia la rinuncia alla premiership. Anche qui servirà un "terzo uomo".