Governo: Draghi spinge per metà ministri politici. Giù i veti, lotta ai posti chiave

Il presidente incaricato lavora al programma focalizzato su Recovery e sanità. Zingaretti: "Salvini? È venuto sulle nostre posizioni"

Mario Draghi (Ansa)

Mario Draghi (Ansa)

Finiti i giorni degli appunti, arrivano quelli dei programmi. Dopo aver buttato giù i canovacci a Città della Pieve, il presidente incaricato li squadernerà di fronte ai partiti oggi e, soprattutto, domani quando sfileranno una dopo l’altra le forze politiche maggiori. Per poi illustrarli, probabilmente mercoledì, alle parti sociali. Da quel momento si dovrebbe prendere la rincorsa: entro giovedì scioglimento della riserva e lista dei ministri, che Draghi vorrebbe un mix tra tecnici e politici, a Mattarella; giuramento venerdì, a seguire la fiducia in Parlamento. L’incognita sono proprio quei programmi che dovrebbero quadrare il cerchio, mettere insieme visioni contrapposte, idee antagoniste. Ma la domanda ’come farà Super Mario?’ è quasi retorica.

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Quello che l’ex presidente della Bce si appresta a varare è, di fatto anche se non di nome, un governo di scopo, che nasce per spendere bene i soldi del Recovery, fronteggiare la pandemia, garantire la vaccinazione. La scommessa è che su questo ’scopo’ la quadra si possa trovare: sarà così. Le tensioni riguardano il famoso ’perimetro’. Vero è che tanto Grillo quanto Zingaretti hanno fatto cadere gli ultimi veti: "Uniti con Draghi, Salvini è venuto sulle nostre posizioni", assicurava ieri il segretario Pd. Restano però mal di pancia: per i Cinquestelle il nodo non è sciolto. "Il guaio non è la Lega, con quelli in fondo – afferma uno dei dirigenti più critici – abbiamo governato per un anno". Il problema è Silvio, l’eterno nemico. Ma il problema è anche Renzi, il traditore. L’uomo che ha affossato il Conte ter. Ora la scelta è secca: sì o no a Draghi. Alla Camera non si registrano grosse sofferenze. Al Senato la situazione sì: a essere tentati dal gesto clamoroso – con Barbara Lezzi – ci sono alcuni big pentastellati, da Morra ad Airola. Altrettanto indecisa Paola Taverna: in pubblico non si sbottona, in privato confessa che ritrovarsi con Silvio e Matteo (Renzi) è una scelta dura. Dalle parti di LeU le tensioni sono identiche, sia pure su scala ridotta. Anche il Pd è sull’orlo di una guerra civile, tenuta sotto traccia, come rivela lo scontro sul congresso.

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Se il governo tecnico-politico diventasse solo tecnico tutto sarebbe più facile. Votare la fiducia e poi garantire il voto provvedimento per provvedimento è ben diverso dal mostrare i propri ministri a fianco di quelli del partito bersagliato fino a un’ora prima. Una fetta del Pd ci spera (tra questi i ministri traballanti, come Franceschini o Gualtieri), ci contano i grillini, e pregano perché le cose vadano cosi i più riottosi all’interno di LeU. Quasi certamente si tratta dell’ennesima illusione: prima di tutto, perché quella formula non piace agli stessi leader della maggioranza: Zingaretti conferma il pieno appoggio, che significa ministri. Grillo è pronto a scontare un dissenso corposo e forse drammatico, ma ai suoi due ministri non intende rinunciare, in particolare al dicastero dell’Ambiente, pietra angolare del nuovo Movimento 2.0.

Quanto a Speranza, benché agli intimi assicuri "se ci fosse un tecnico mi riposerei", è difficile credere che non ci tenga a restare sugli spalti della Sanità. L’ostacolo principale però è un altro: proprio lui, Mario Draghi. Digiuno di esperienza parlamentare, non è affatto un ingenuo o un novellino. Ha alle spalle anni di trattative con tipi come il grintosissimo ex ministro delle Finanze tedesco Schäuble. Sa che un esecutivo senza impegno diretto dei politici sarebbe un fuscello in balia della tempesta. Dunque insisterà, consapevole che malumori e lacerazioni a parte, l’ultima parola sarà sua.