Conte un anno dopo: lunedì dirò se resto

Dodici mesi di governo. "Convoco i due vice. Poi parlerò agli italiani, il premier sono io"

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte (LaPresse)

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte (LaPresse)

Roma, 1 giugno 2019 - Un anno fa, cioè oggi, ai giardini del Quirinale, l’intera classe dirigente italiana si produsse nel ‘bacio della pantofola’ a Conte e Di Maio, con Salvini defilato. Un anno dopo, quante novità. Conte è costretto a ribadire "il premier sono io" e, lunedì, annuncia di voler "parlare agli italiani" per far sapere se resterà o no alla guida del governo gialloverde, dopo aver parlato con i due vice. Il premier è come sospeso ("congelato", dicono al Quirinale), in attesa che Di Maio e Salvini si affrontino. Nel frattempo, però, un bilancio si può trarre.

Il Governo soffia le candeline, ma non si può dire che goda di buona salute. Sessantacinquesimo della Repubblica, primo (e ultimo?) della XVIII legislatura, l’esecutivo è in carica dal primo giugno 2018. La sua nascita, dopo 88 giorni di faticosa ‘gestazione’ (la crisi di governo più lunga della storia repubblicana) è frutto della ‘strana’ alleanza tra due partiti che si erano presentati su fronti opposti alle politiche del 4 marzo, ottenendo il 32% (M5s) e il 17% (Lega). Ora, però, dopo le elezioni europee, gli equilibri interni alla maggioranza si sono invertiti: 34% la Lega e 17% l’M5s. Un dato che peserà nel prossimo futuro, quantomeno nella definizione dell’agenda di governo. Se, infatti, il governo Conte ce l’ha, un futuro, tutto cambierà, ormai è già scritto. Guardati a ritroso, i 12 mesi di governo, vissuti sempre sul filo della tensione, hanno un filo rosso, il ruolo di Salvini, e la perenne conflittualità tra i due alleati di governo. Promesse indubbiamente realizzate, due: il reddito di cittadinanza, fortemente voluto dai 5 Stelle, e quota 100, imposta da Salvini.

Il quale, però, ha chiesto, e ottenuto, anche il decreto Sicurezza (ora reclama pure quello bis) e la legge sulla legittima difesa, mentre i 5 Stelle hanno voluto la riforma della prescrizione e le riforme costituzionali. Promesse non mantenute: la Tav (ancora come sospesa), la Tap, l’Ilva di Taranto, ma anche lo sblocca cantieri (ancora all’esame delle Camere), il decreto Crescita (idem), il salva Roma (la Lega si oppone) e lo stop ai condoni.

Il drammatico crollo del ponte Morandi, poi, avrebbe dovuto portato alla revoca delle concessioni ad Autostrade (revoca mai diventata operativa), ma, da mesi, Di Maio chiede proprio a loro di sobbarcarsi il salvataggio di Alitalia. Nel mezzo, c’è stata la battaglia con Bruxelles sulla manovra economica 2019, Di Maio che – affacciato dal balcone di palazzo Chigi – urla "abbiamo abolito la povertà" e gli attacchi contro "la nuova Tangentopoli" di marca leghista, con relative dimissioni pretese e ottenute di due pedine leghiste sacrificabili e sacrificate (Siri e Rixi). Ma dopo aver abbozzato a lungo oggi Salvini, forte della messe di consensi presi, non intende farlo più. "Basta con i no ora voglio solo tanti sì", pretende, e fa l’elenco: Tav, riforma della giustizia e, soprattutto, flat tax. Poco importa quanto costino. Salvini è stato chiaro: o così, o il governo salta. Il ricevimento del 2 giugno al Quirinale per Conte, potrebbe essere l’ultimo. O il primo di una lunga serie, ma con Salvini che gli mette una mano sulla spalla.