Venerdì 19 Aprile 2024

Governo 2018, partiti matrioska. Così formare un esecutivo diventa un rebus

Caminetti, correnti e divisioni interne: è record di sottogruppi di potere Governo 2018, crisi M5s. Ora Di Maio si aggrappa al Pd Governo 2018, è muro contro muro Governo, centrodestra unito alle prossime consultazioni Orlando: "Renzi ritiri le dimissioni o lasci lavorare Martina"

Un esempio di partiti matrioska

Un esempio di partiti matrioska

Roma, 7 aprile 2018 - Nella prima Repubblica si chiamavano correnti, e nessuno aveva da ridire. Istituzionalizzate al punto da inventare un metodo – il Cencelli – per regolarne gli appetiti, le correnti erano le geniale invenzione democristiana per aumentare l’offerta politica.

Governo 2018, crisi M5s. Ora Di Maio si aggrappa al Pd

Diventate nella seconda Repubblica sinonimo di deriva affaristica, le correnti si chiamano adesso «sensibilità», molto più à la page e politicamente corretto. La sostanza è rimasta però la stessa, e ora come prima, pur nell’epoca dei nominati, i partiti non sono blocchi monolitici ma un insieme di gruppi di potere che si confrontano al proprio interno. Una sorta di piccole-grandi matrioske. Rendendo più intricata la conclusione di ogni trattativa e, per venire a noi, la soluzione della presente crisi di governo, perché da una parte assecondano la tentazione dei leader di scegliere nel campo avverso la fazione più comoda (vedi Di Maio vs Berlusconi e Renzi) dall’altra lo obbligano a guardarsi le spalle in casa propria.

Governo, centrodestra unito alle prossime consultazioni

FORZA ITALIA - Forza Italia, per dire, che con la sua vocazione leaderistica dovrebbe essere una diretta emanazione del capo, è divisa in due-tre simil-correnti. Il governatore ligure Giovanni Toti è l’esponente dell’ala più vicina al Carroccio, quella che si immagina un futuro non lontano con il partito unico del centrodestra. Berlusconi ogni tanto guarda in cagnesco Toti che considera la quinta colonna della Lega in Forza Italia, ma ne valuta comunque positivo l’apporto. L’altro partito azzurro è quello aziendalista, certamente pesante. Quello che per conto di Berlusconi fa riferimento da sempre a Gianni Letta, vero crocevia tra politica e interessi. Molto attento agli sviluppi della vicenda Cdp-Telecom, ha orientato più di una scelta del Cavaliere, ma questa volta, a differenza di Fedele Confalonieri la cui linea di condotta è quella di «restar dentro» a qualsiasi accordo, ha vestito il ruolo del falco.

Governo 2018, è muro contro muro - di P.F DE ROBERTIS

LEGA - A fianco di Forza Italia c’è la Lega, certamente più compatta anche perché plasmata dall’attuale leader, Matteo Salvini, che quando si è trattato di stilare le liste non ha fatto prigionieri tra gli esponenti del vecchio Carroccio bossian-maroniano. Fuori tutti, con l’eccezione del vecchio Senatùr. Resta un po’ ingombrante Roberto Maroni, vicino a Berlusconi. Qualcuno per lui immagina un ruolo di governo nel caso si dovesse arrivare a un accordo che preveda una figura meno marcatamente leghista, ma la sua distanza da Salvini rende tutto ciò un’ipotesi poco probabile. Per il resto i big attuali, da Giorgetti a Zaia, tutti col segretario.

5 STELLE - Compattezza esteriore anche nel M5S, dove però sotto sotto qualche distinguo inizia a trapelare. Soprattutto se l’operazione Di Maio premier dovesse risultare più difficile del previsto. Davide Casaleggio spinge per un ingresso a tutti i costi al governo e chissà che per farlo non sia disposto anche ad accontentarsi di una poltrona meno di primo piano per «Giggino» (tipo vicepremier) mentre i beneinformati raccontano che Beppe Grillo sia meno interessato all’ipotesi governo a ogni costo.

PD - Resta infine il Pd, che di correnti e caminetti ha da sempre il record mondiale. Il big bang post-4 marzo è solo all’inizio, e la polemica di Andrea Orlando contro Renzi rilanciata ieri ha solo dato il via alle danze. L’ex segretario tiene duro sull’ipotesi di opposizione a tutti i costi, gli altri, da Martina a Franceschini sono più possibilisti, tentati da una qualche forma di collaborazione per lo meno a un’ipotesi del governo del presidente.

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