Giovedì 25 Aprile 2024

Conte, il professore che si scoprì statista

Ha esordito in sordina. Ora il premier-mediatore è centrale nella trattativa con l'Ue

Il premier Giuseppe Conte (Ansa)

Il premier Giuseppe Conte (Ansa)

Roma, 18 dicembre 2018 - Dallo scontro con l’Europa nel governo escono tutti un po’ ammaccati. Tutti, tranne uno che anzi viene fuori molto più forte di come era entrato e con un credito personale balzato là, dove nessuno avrebbe pensato mai: il premier Giuseppe Conte. Il professore "trasparente" o peggio – secondo le voci più malevole – il portaordini dei due vice esce dalla vicenda se non come il capo del governo a tutti gli effetti, certamente come leader a pari merito (ancorché senza esercito) con gli azionisti della maggioranza giallo-verde. La prova del nove di questo passaggio al triumvirato c’è stata domenica notte, quando ha piegato con la sua fermezza le ultime resistenze di Salvini e Di Maio: ragazzi – il senso del suo ragionamento – non possiamo permetterci una procedura d’infrazione. O troviamo un’intesa con l’Europa o si va tutti a casa. Risultato: il patto del fifty-fifty, ovvero due miliardi in meno per reddito di cittadinanza e altrettanti per quota cento. Gioco, set, partita.

L’astuzia politica del presidente del Consiglio – quella che è mancata al tecnico Tria – è stata di sapersi tenere in equilibrio perfetto tra le esigenze della diplomazia con Bruxelles e quelle della fermezza in Italia. Una realtà non solo limitata alle stanze del potere in Italia o al ruolo che gli riconoscono le Cancellerie europee, ma confermata dall’opinione pubblica come dimostrano gli ultimi sondaggi secondo cui ha guadagnato un paio di punti: la fiducia degli italiani in Conte raggiunge il 48% (per Salvini ora si attesta intorno al 50%, mentre per Di Maio al 35%).

È opinione diffusa che il turning point, il punto di svolta, sia stato all’inizio di dicembre, quando i due vice gli hanno ufficialmente conferito il compito di trattare "per loro" con la Ue: lui non si è mai lasciato scappare un solo accento di scetticismo nei confronti della manovra del popolo, e tuttavia si è presentato a Bruxelles come l’unico in grado di mediare tra esigenze diverse. Ora: la capacità del premier è fuori discussione, ma non c’è dubbio che ha goduto di una congiunzione astrale favorevole. Sì, perché da un lato in Europa nessuno aveva voglia di trattare con Salvini e Di Maio per non legittimare i populisti né, del resto, i due alleati giallo-verdi hanno mai desiderato andare con il cappello in mano da Juncker & co. perché avrebbe significato riconoscere la sovranità della Ue.

L’altro elemento che ha contribuito a rafforzare il premier è stata la strategia del Colle: fin dall’inizio, Mattarella ha puntato su di lui, incoraggiando moltissimo in questa partita molto rischiosa. Già: se si fosse arrivati allo scontro finale con l’Europa, un ruolo per definizione di mediazione come quello che ha assunto Conte sarebbe stato spazzato via. Invece non è finita così. Tra un caffè con "Jean-Claude" (Juncker) e una chiacchierata con "Angela" (Merkel) che gli ha confidato "non mi metterò di traverso", Conte ha abilmente tessuto la sua tela: "Se la trattativa andrà a buon fine, sarà un importante successo per lui", riconoscono i suoi. Sta di fatto che – alla vigilia del responso europeo – all’interno dell’esecutivo si registra un’impennata delle quotazioni di Conte rispetto a quelle di Salvini e Di Maio. Entrambi i vice pagano lo scotto di aver condotto una campagna esageratamente bellicosa salvo poi dover trattare e delegare al premier il compito di farlo. Contemporaneamente, guadagna punti anche rispetto a Tria, che si è mosso sempre come un ministro tanto capace tecnicamente quanto goffo politicamente, finendo così per cedere all’inquilino di Palazzo Chigi quella parte di negoziazione che avrebbe dovuto fare lui.