"Vi spiego chi è Giorgia Meloni. Nazionalista conservatrice, ma per niente fascista"

Marco Tarchi: l’azione di governo andrà nel solco tracciato da Draghi. "Lei vuole salvaguardare la sua identità culturale, con una sfida: sostituire a sinistra/destra il binomio conservatorismo/progressismo"

Roma, 23 ottobre 2022 - Professor Tarchi, la destra è al governo dopo 76 di vita della repubblica. Un fatto indubbiamente storico. La sorprende più che sia avvenuto o che sia avvenuto solo adesso?

"Era un processo prevedibile fin dai tempi dello “sdoganamento” del Msi e della nascita di Alleanza nazionale. E che, con l’inevitabile tramonto di Berlusconi, ha avuto un compimento, anche grazie al suicidio politico di Salvini con il suo proclama del Papeete".

Il governo Meloni pare frutto di una sorta di melonismo in purezza. I riferimenti sovranisti nella dizione dei ministeri, i riferimenti neocon e ad altri cavalli di battaglia della destra. Che tipo di destra è quella incarnata da Giorgia Meloni?

"Un mix di conservatorismo e nazionalismo, che promette cambiamenti radicali del Paese, ma difficilmente si scosterà dalle linee tracciate da Draghi e punterà a dare un’immagine rassicurante di fronte alla crisi".

Giorgia Meloni
Giorgia Meloni

Si è discusso molto dei legami della destra con il fascismo o il post-fascismo, e il tema più volte è stato tirato fuori in maniera spesso strumentale dalla sinistra. Che legame resta specie a livello politico-culturale con quel mondo?

"Solo un diverso giudizio di alcuni aspetti del ventennio, che non può collimare con quello di ambienti antifascisti tradizionalmente colonizzati dalla sinistra. Ma Meloni e i suoi non opporranno una caricatura apologetica del fascismo a quella denigratoria degli avversari. Di quell’esperienza parleranno il meno possibile. E quando saranno costretti a farlo ne deploreranno le “pagine oscure” e faranno appello alla pacificazione nazionale".

La piattaforma ideologica della Meloni è quella di un nuovo conservatorismo, o ne è solo l’accenno o il tentativo?

"È un tentativo di spostare il conflitto politico dallo spartiacque sinistra-destra, che a molti elettori appare obsoleto, a quello tra conservatorismo e progressismo. Logica conseguenza del fatto che dal 1968 in poi le idee progressiste hanno fatto continui passi avanti nella società a spese di quei valori di destra in cui Meloni crede. Una reazione a questa situazione è, dal suo punto di vista, indispensabile".

Molti descrivono la Meloni come frutto del mondo missino degli anni Settanta, che lei, professore, ha peraltro vissuto in prima persona. Colle Oppio, Tolkien, i Campi Hobbit e molti del cerchio magico della premier vengono da lì. Vede questo nesso?

"Poco. Meloni è di un’altra generazione. Tolkien a parte, le letture dei neofascisti degli anni Settanta erano ancora legate al tentativo di modificare il giudizio corrente sulla loro parte politica".

A Fratelli d’Italia di adesso servirebbe una sorta di “nuova Fiuggi”, per rompere magari ancora di più con il passato?

"Sarebbe un coda di paglia. FdI si immedesima, per gli elettori, con la sua leader, non con vicende del passato. Le abiure, Fini insegna, non rendono, perché sanno di opportunismo".

Nel nuovo governo c’è indubbiamente un’impronta neocon, che poi è la Meloni di «sono Giorgia, sono cristiana...». Tutto ciò è compatibile con la acquisita secolarizzazione della società di oggi?

"Non si tratta di clericalismo, ma di rivendicazione di un’identità culturale. Se lei rinunciasse a questa impostazione, che le ha fruttato consenso, si omologherebbe e il suo conservatorismo si ridurrebbe a poca cosa".

Veniamo al sovranismo. Fino a poco tempo fa dato acquisito nella narrazione meloniana. Adesso che deve stare nella Ue, nella Nato, con gli Usa, la Meloni può continuare a permetterselo? Può ancora preferire Ungheria e Polonia a Francia e Germania?

"Seppur con prudenza e toni misurati, sì. Non può perdere alleati preziosi, e una parte del gruppo europeo di cui è alla guida. Semmai metterà la sordina alla critiche nei confronti dei paesi con cui ha polemizzato in passato".

Pensa che la classe dirigente di FdI sia all’altezza del compito? Perché anche stavolta, come alle scorse amministrative quando candidarono Michetti a Roma (dove peraltro avrebbero vinto) non sono riusciti ad attrarre elementi portanti della classe dirigente del Paese (vedi il rifiuto di Panetta)?

"Senza fare esperienza, non si crea una valida classe dirigente. Questa è l’occasione: vedremo come sarà sfruttata. Quanto al resto, che l’establishment intellettuale e manageriale italiano, da sempre avverso alla destra, sia diffidente, non mi stupisce. Se i suoi interessi glielo consiglieranno, cambierà idea".

Ultima domanda, proprio a lei che nello studio di questo fenomeno si è specializzato: FdI è oggi un partito populista, o vede qualcosa di populista?

"No. I populisti rifiutano la distinzione destra/sinistra, si sentono trasversali, puntano sulla voglia di riscatto dei ceti più bassi della società, diffidano dello Stato e mettono il popolo davanti alla nazione. Sono un’altra cosa".