Giovedì 25 Aprile 2024

Gentiloni si smarca da Renzi. Ma farà campagna per il Pd

La stoccata: il partito dem è una forza tranquilla. Collegio sicuro a Roma

Il premier Paolo Gentiloni (Ansa)

Il premier Paolo Gentiloni (Ansa)

Roma, 29 dicembre 2017 - «Nun ce se crede…». È proprio nel bel mezzo della conferenza stampa di fine anno, mentre sta parlando dell’Italia leader nell’export, che Paolo Gentiloni si lascia scappare una battuta in romanesco – romanesco alto, però, curiale e nobiliare, stile sonetto del Belli – come, forse, a tradire un’emozione, quella di ‘Paolo il Freddo’. Uno che, di solito, parla per tautologie («Il governo governa»), ma che, proprio ieri, si è tolto diversi sassolini dalle scarpe.   Il premier rivendica di «aver preso delle decisioni, non fatto annunci» (stoccata a Renzi numero 1). Poi sospira «non vedevo l’ora che finissero le audizioni della commissione Banche» (stoccata a Renzi numero 2, scontro quasi pari a quello su Visco). Infine, ricorda i risultati «miei e dei miei predecessori». E qui cita non solo Matteo, ma anche Enrico Letta, uno che, solo a nominarlo, nel Pd renziano mettono mano alla pistola (Renzi, infatti, non lo nominava mai: stoccata numero 3). Difesa, invece, a spada tratta della Boschi («L’ho voluta io» rivendica) e anche della necessità – in sottile ma evidente polemica con gli scissionisti andati via dal Pd e finiti in Leu – che «la sinistra non può che essere di governo». Con tanto di citazione mitterrandiana del Pd che dovrebbe porsi come «la forza tranquilla» (ieri Renzi ha fatto identica citazione).

image   C’è, naturalmente, in Gentiloni, la personale soddisfazione per tutto quello che ha compiuto in questo anno di lavoro in cui, appunto, «non abbiamo tirato a campare», ma prodotto risultati sul fronte dell’economia, dei migranti, dei diritti, anche se su quest’ultimo punto il bicchiere è mezzo pieno (unioni civili e biotestamento) e mezzo vuoto (ius soli).

Certo, tutto questo il premier lo ha potuto fare grazie al pieno sostegno di Mattarella, con cui ormai il sodalizio è di ferro, l’appoggio, a corrente alternata, del Pd di Renzi e il sostegno freddo, ma leale, degli altri partiti di maggioranza. Ma «la Sfinge» – così lo chiamano i colleghi di governo – non solo è riuscito a sfangare un anno partito malissimo, ma a imporre uno stile che è lontano anni luce da quello di Renzi.   Il segretario non ha più in mano le leve del potere, Gentiloni sì. Ha fatto e farà nomine assai importanti, affronterà – e, forse, risolverà – i caldi dossier di Alitalia e Ilva in vendita, porterà le truppe italiane in Niger (sul punto arriva l’unica stoccata alle opposizioni e alle loro «illazioni spettacolari») e rappresenterà l’Italia in cruciali vertici Onu, Ue e Nato. Renzi, però, ovviamente, fa di tutto per farsi trovare pronto: dice ai suoi che «per me Paolo non è un potenziale rivale domani, ma un alleato forte oggi». Anzi, la linea del Nazareno sarebbe questa: Renzi sui social «a bombardare Berlusconi e Grillo» mentre Gentiloni dovrebbe andare in tv e i ministri, poveretti, vanno «sui territori», a cercar voti.   Anche Gentiloni non si pone in contraddizione con Renzi: è disponibile a fare campagna elettorale «con le modalità che il Pd sceglierà». E il Pd ha già scelto: lo candiderà a Roma 1, nel collegio uninominale, e in più listini proporzionali. Il terzo incomodo, però, si chiama Mattarella: ha fatto di tutto pur di tenere in vita il governo Gentiloni fino a dopo il voto. E ora il Colle fa trapelare che «Gentiloni va preservato dalle possibili polemiche della campagna elettorale». Che è come dire al Pd: usatelo sì, ma il meno possibile, cum juicio.