Fiscal compact, Fassina: "Che errore. Renzi doveva cambiarlo prima"

L'esponente di Sinistra Italiana: "Il Pd lo votò perché Monti era sostenuto dal Colle. Sbagliato però tagliare le tasse a tutti"

Combo: Matteo Renzi e Stefano Fassina

Combo: Matteo Renzi e Stefano Fassina

Roma, 11 luglio 2017 - RENZI è d’accordo con la sinistra: via il Fiscal compact. «Solo un’uscita elettorale», scuote la testa Stefano Fassina, deputato di Sinistra italiana, ex vice ministro dell’economia con Letta e nemico giurato del Fiscal compact.

La differenza con voi? «Noi da tre anni proponiamo di arrivare al 3% del rapporto deficit/pil per finanziare scuola, mobilità, piccoli cantieri»

Ha cambiato idea lui, non voi. «Renzi è in grande difficoltà elettorale. Si sposta sulle nostre posizioni ma le declina in chiave liberista: non investimenti ma riduzione di tasse per tutti».

Per questo Bersani l’ha subito bollata come un’idea balzana? «Sull’allentamento dell’austerità siamo d’accordo, ma che cosa poi fai con le risorse non è irrilevante. La priorità è sostenere la domanda e gli investimenti pubblici. Tagliare le tasse a tutti non produce i risultati attesi».

Renzi pensa solo ai voti? «Avrebbe potuto contestare il Fiscal compact quando glielo avevamo suggerito noi, dopo il 40% alle Europee e quando l’Italia si apprestava a prendere la presidenza di turno della Ue. Oggi lo dice perché è in difficoltà. E’ lo slogan berlusconiano: meno tasse per tutti».

Ma approvare il Fiscal compact fu un errore? «Sì, un errore compiuto dal Pd che sosteneva il governo Monti protetto dalla Presidenza della Repubblica. Non riuscì a sottrarsi».

Come per il bail-in poi? La politica italiana si pente sempre dopo. «C’è stata sicuramente una valutatazione poco approfondita delle conseguenze di quegli accordi. Ma una parte delle nostre classi dirigenti pensa che l’Italia abbia bisogno di vincoli esterni per disciplinarsi».

Anche nel centrosinistra? «C’è una componente nell’universo ulivista, che vede nel farsi legare le mani dalla Ue una condizione fondamentale per governare l’economia, dati i rischi di inaffidabilità della politica».

Fu il motivo per cui nel 2012 il Pd votò a favore del Fiscal compact? «Nel 2012 il Pd doveva fronteggiare l’offensiva dei mercati. Evitare questo errore avrebbe significato far cadere Monti con le conseguenze sui mercati finanziari».

Sempre il ricatto del debito? «E infatti dobbiamo affrontare come Eurozona la sostenibilità del debito».

Però nonostante la politica accomodante della Bce non abbiamo diminuito il debito e siamo cresciuti poco. «Perché negli ultimi 4 anni non abbiamo fatto politiche espansive e i pochi spazi disponibili sono stati usati per bonus a pioggia e non per investimenti».

Proprio nessun margine di incontro fra la sinistra e Renzi sul Fiscal Compact? «Renzi non ha la credibilità per protare avanti un’agenda keynesiana. Lui continua a proporre ricette liberiste, però...»

Però? «Se nella nota di aggiornamento al Def a settembre il governo proponesse piano di investimenti portando il rapporto deficit/pil al 3%, noi la sosterremmo». 

Anche il ministro Delrio dice che il Fiscal compact non è il Vangelo. Quindi... «Sono solo uscite elettorali. Comunque la prova è a settembre».