Mercoledì 24 Aprile 2024

Ferruccio de Bortoli: "Sulla Rete i veri poteri forti. E i giornali non moriranno"

"Qualunque movimento per affermarsi ha bisogno della stampa che dà ancora una certificazione"

Ferruccio De Bortoli (Foto NewPress)

Ferruccio De Bortoli (Foto NewPress)

Come si informeranno i cittadini del futuro? Davvero la Rete sostituirà del tutto i giornali tradizionali? Fino a qualche tempo fa, la morte dei giornali – spazzati via da una sorta di democrazia dell’informazione “dal basso” – era teorizzata da molti. In politica, per stare all’Italia, da Beppe Grillo e poi dal suo Movimento Cinque Stelle. Anche Salvini aveva teorizzato la fine dei giornali, sostenendo che sarebbe stato "il popolo di Facebook" a informare gli italiani. Pochi mesi di governo sono però bastati a far ricredere sia Salvini sia Di Maio: i quali, ogni volta che hanno voluto comunicare qualcosa di importante, si sono rivolti ai media tradizionali. E cresce anche fra i cittadini la consapevolezza che il mondo della Rete – utilissimo per tante cose, e ormai inarrestabile – non può però soddisfare il bisogno di un’informazione qualificata e attendibile, mediata da professionisti che hanno accesso alle fonti. Negli Stati Uniti, dopo aver verificato i danni delle fake news nell’ultima campagna elettorale, si è tornati ai “vecchi” quotidiani. Dopo le due pagine di ieri, concludiamo oggi la nostra inchiesta con un servizio da New York di Giampaolo Pioli e con questa intervista a Ferruccio de Bortoli, editorialista del Corriere della Sera, di cui è stato due volte direttore.

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Milano, 10 aprile 2019 - "I giornali", dice Ferruccio de Bortoli, "vengono da lontano, ma non appartengono al passato". Una vita dedicata al giornalismo, e soprattutto al Corriere della Sera, di cui è stato due volte direttore, de Bortoli è per noi del mestiere una sorta di Cassazione. Se c’è qualcuno che incarna l’autorevolezza e l’equilibrio, è lui. E siccome di questo i giornali (anzi, i lettori) avranno sempre bisogno – di autorevolezza ed equilibrio – la sua profezia è di grande conforto. I giornali non moriranno. Punto.

Direttore ti chiedo, come prima cosa, se ti ha stupito il continuo ricorso di Salvini e Di Maio ai giornali. Perfino ai “giornaloni”, come vien detto con un certo disprezzo.

"Sì, i ‘giornaloni’... Sai cosa penso? È curioso che questa espressione accomuni personaggi così distanti fra loro: Salvini, Di Maio, Travaglio... E comunque no, non sono stupito. Perché al centro del dibattito vero ci sono sempre i giornali: voglio dire, la Rete discute quasi sempre di cose pubblicate dai giornali. E non sono stupito perché alla fine sono i giornali che danno un senso, una credibilità e anche una forma politica a tutto quel che si muove nella società".

Fammi un esempio.

"Pensa al Global strike for future, la grande manifestazione mondiale per l’ambiente del 15 marzo scorso. Tutto è partito da una ragazzina, Greta, e si è sviluppato attraverso la Rete. Ma poi, per darsi un senso politico, il movimento ha dovuto uscire dalla Rete e andare in piazza. Ha dovuto mettere i corpi, le facce, le mani, le voci. Per assumere concretezza politica è passato dal digitale all’analogico".

La Rete è insufficiente?

"La Rete costruisce benissimo i rumori di fondo.Ma poi, per affermarsi, qualunque movimento, qualunque fenomeno e corrente di pensiero ha bisogno di passare attraverso i giornali. I quali, piaccia o no, danno ancora una certificazione".

Ti ricordi i Cinque Stelle di qualche anno fa?

"Non rispondevano neppure alle domande dei giornalisti. E avevano il divieto di andare ai talk show. Anche loro hanno capito che per comunicare occorre una mediazione".

Perché ‘anche’ loro?

"Penso al primo Berlusconi. Un mago delle videocassette. È entrato in politica così. Ma poi, quando ha voluto comunicare qualcosa con un ‘peso’ politico, ha scritto al Foglio, a volte anche al Corriere".

Che cosa ha fatto cambiare idea ai grillini?

"Credo che si siano stancati di parlare a se stessi. Con la Rete non avevano interlocutori reali".

Però diciamo la verità: anche noi dei giornali abbiamo le nostre colpe.

"È vero. Purtroppo ci siamo accorti troppo tardi di tanti fenomeni sociali. Mi ci metto anch’io, che non capii la Lega. Così come non compresi per tempo i grillini, anche se alcuni fa, quando ancora non era nato il Movimento Cinque Stelle, invitai Gianroberto Casaleggio a parlare al Corriere. Volevo una sua consulenza per il web. Lui ci disse: ‘Voi dei giornali siete morti’. I miei giornalisti non la presero bene".

In che cosa abbiamo sbagliato?

"Ci siamo parlati troppo addosso, siamo stati troppo dentro il Palazzo, abbiamo regalato migliaia di notizie alla Rete. A volte siamo noiosi, uguali a noi stessi. Invece i giornali sono interessanti se danno le notizie che gli altri non hanno, se fanno inchieste, se fanno commenti anche duri, ma che fanno crescere una comunità. I giornali devono avere un’anima".

Perché credi che nonostante gli errori i giornali restano fondamentali?

"Perché comunque i giornali, nel caos di milioni di informazioni che circolano, offrono una selezione e una gerarchia delle notizie; perché sono un antidoto alle fake news; perché smascherano le verosimiglianze: sulla Rete, purtroppo, ciò che è verosimile diventa subito vero. E ancora: i giornali offrono al lettore un’appartenenza territoriale: tu compri un giornale che ti tiene radicato a dove vivi, a Bologna, a Milano, a Firenze, a Roma... Mentre sulla Rete non sei in nessun luogo, sei solo in mano a qualcuno che dispone di tutti i tuoi dati personali".

Chi compra un giornale è un lettore e non un consumatore: giusto?

"Giusto. I giornali hanno tanti difetti ma rispettano il lettore, non lo manipolano, non lo usano a fini commerciali. E poi i giornalisti non hanno diritto all’astensione: con loro, i lettori ci saranno sempre. Voglio dire: il giornalista è per il cittadino un interlocutore che non può scomparire se qualcuno ha interesse a non far sapere quello che succede".

Cioè: i giornali garantiscono la democrazia più della Rete?

"Ti rispondo con una domanda: Trump ce l’ha con Bezos in quanto proprietario di Amazon o in quanto proprietario del Washington Post?".

E quindi: il potere ha più paura della Rete o del giornalismo?

"E quindi: chi garantisce davvero la democrazia?".

Tu hai scritto un libro sui poteri forti. I grillini dicono: i giornaloni sono lo strumento dei poteri forti.

"A quei poteri forti bastava dire di no. Poi se ne pagava il prezzo, ma non vorrei avere come editore uno che sa tutto di noi. Sono quelli oggi i veri poteri forti".

Di Maio e Salvini sono pentiti?

"Il loro ritorno ai giornali è una medaglia per noi. Una medaglia che non vogliamo appuntarci sul petto, ma che ci fa piacere. Adesso però devono accettare anche il contraddittorio".

Che futuro ci aspetta?

"Dobbiamo adeguarci alle nuove tecnologie, al nuovo linguaggio. Ma i giornali resteranno sempre, anche quando – il più tardi possibile, mi auguro – dovesse finire la carta stampata".