Mercoledì 24 Aprile 2024

Fausto Bertinotti: "Sì, feci cadere Prodi ma fu una scelta politica, Conte non ha visione"

L’ex leader di Rifondazione comunista e il parallelo con la crisi del ’98. "Oggi non vedo motivazioni reali ma calcoli dovuti a singole debolezze. La sinistra deve riempire un vuoto: guardiamo alla Francia di Mélenchon"

Fausto Bertinotti, 82 anni, storico segretario di Rifondazione comunista

Fausto Bertinotti, 82 anni, storico segretario di Rifondazione comunista

Roma, 16 luglio 2022 - Presidente Bertinotti, c’è chi paragona lo scarto di Conte con il governo Draghi al suo staccare la spina a quello di Prodi.

Non si scompone minimamente Fausto Bertinotti e con il garbo che gli è proprio scandisce: "Io penso che qualsiasi comparazione di un episodio del tempo presente con un episodio nel Novecento sia fuorviante. E’ cambiato tutto. Nello specifico faccio notare che noi rompemmo (giusto o sbagliato che fosse, e ancora oggi ritengo fosse giusto) su un punto chiaro fin dall’inizio, traducibile in poche parole: svolta o rottura. Nel caso di oggi parliamo di un evento che fino a una settimana fa non sapevamo neanche che sarebbe accaduto e neanche oggi sappiamo che cosa è accaduto. Allora ci fu il primato della politica: oggi la politica non c’è proprio".

Che cosa c’è al suo posto? "Intanto vediamo se ci sarà una crisi vera. Nel frattempo, mettiamo in fila i fatti. Due giorni fa Draghi dice che misura moltissime convergenze con le proposte dei 5 Stelle tant’è che vengono trasposte nell’incontro con le parti sociali. Dunque, prima del voto al Senato abbiamo un premier che rassicura i grillini per una sostanziale convergenza. Ora, a dire della povertà della politica, lo scartamento successivo sembra determinato solo da un fenomeno regolamentare: se al Senato ci fosse stato il Regolamento della Camera non avremmo avuto la crisi. Possiamo pensare questo?".

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No. Possiamo pensare, però, che a Conte e ai grillini vada strettissimo stare al governo e che Draghi si sia stancato di queste manfrine. "Conte è il leader in difficoltà di una formazione politica in difficoltà. I 5 Stelle nascono come la traduzione del populismo in politica: strada facendo quel progetto originario è scomparso. Oggi sono in crisi di consenso e il loro leader è in una condizione più di inefficacia che di leadership reale. Ma questo non spiega la vicenda attuale".

Draghi, del resto, potrebbe andare avanti anche senza i grillini. Ma allora che cosa c’è dietro quello che vediamo? "Dietro c’è lo sfaldamento della politica, c’è l’impossibilità di reggere, con l’approssimazione che la politica contiene, un disegno politico. Siamo di fronte a naviganti senza rotta e non deve trarre in inganno l’autorevolezza del presidente del Consiglio sul terreno delle politiche economiche che non possono essere scambiate con una visione politica. E sia che la crisi si componga con un tiremm innanz sia che precipiti nel voto anticipato, il domani è ugualmente sottoposto a una imprevedibilità imponderabile".

Chi sono i naviganti senza rotta? "I naviganti senza rotta sono tutti: Conte come Draghi, come Letta, come Salvini. Perché c’è una crisi del sistema politico italiano che viene prima di questa crisi di governo e quella a cui assistiamo è una nuova, ulteriore manifestazione di essa, alla quale in questo ultimo decennio in particolare si è data una risposta extra-politica che ha sempre di più le forme del governo tecnico-oligarchico".

Draghi come Monti non le poteva piacere per definizione. "Non solo questo governo non mi piace per niente, ma lo considero un nocumento per la democrazia. Tuttavia, sembrava (non ho detto che lo fosse) essere una soluzione senza alternative. Ed è stata così proposta, come una soluzione neo-autoritaria fondata sulla inesistenza di alternative. Un governo necessitato dalla situazione economica e iper-necessitato dalla guerra. Eppure, questo governo, fondato su queste relazioni internazionali e di governo del sistema, legittimato, se non da voto, dal formarsi dell’opinione pubblica favorevole e in più ogni volta proposto senza alternative, è entrato ugualmente in una situazione di crisi-non crisi, in un limbo che è una condizione paradossale per un governo la cui autorevolezza era fondata sul principio di autorità".

È questo il paradosso? "Sì. Non è un governo sconfitto, battuto, che non ha più i numeri in Parlamento, nel quale c’è un conflitto percepibile dal Paese, ma frana, si frangia, si frantuma ugualmente: con il risultato che crisi o non crisi, è un governo destinato ad arrancare e il suo arrancare indica che c’è un oggettivo dissolvimento della politica".

Che fare? (per citare Lenin). "Se l’analisi ha fondamento, la via di uscita è la nascita di nuove soggettività politiche capaci di visione, di disegno e, per la mia parte politica, di un’alternativa a un sistema economico-sociale intriso di gravissime disuguaglianze, nel quale la macroeconomia ha preso il posto della società".

Guarda alla Francia di Jean-Luc Mélenchon? "Per la mia parte dico: guardate in Francia in cui la sinistra c’è per competere e vincere, non per testimonianza. Ma anche a chi non la pensa come me dico: siate capaci di avere un’ambizione politica rispetto al futuro della società. Altro che questa grottesca discussione sul centro".

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