Fassino avverte: basta farsi del male. "Ai ballottaggi è suonato l’allarme"

L’ex segretario dei Ds: "L’alleanza con Mdp è ancora possibile"

Piero Fassino (Imagoeconomica)

Piero Fassino (Imagoeconomica)

Roma, 28 giugno 2017 - «IN QUESTE ore leggo troppi toni esasperati. A tutti dico: fermiamoci prima di fare altri danni. È il momento di essere lucidi e di ricordarci che prima di tutto viene l’Italia». È l’appello che lancia Piero Fassino, responsabile Esteri del Pd ed ex segretario Ds.

La lezione delle comunali?

«Nei ballottaggi centrodestra e M5S hanno unito i voti determinando in molte situazioni il rovesciamento dei risultati del primo turno. Ma è infondato proiettarequesti equilibri sul piano nazionale, perché alle politiche non esiste il ballottaggio. Detto ciò sarebbe un grave errore sottovalutare risultati che per la sinistra sono più di un campanello di allarme. Il centrosinistra ha sempre avuto alle amministrative una capacità di aggregazione oltre il proprio elettorato. Stavolta non c’è stata e l’astensione ha colpito soprattutto noi».

È colpa di Renzi?

«I processi politici non sono mai legati al carattere di una persona, anche se è chiaro che un leader può commettere errori. La verità è che c’è un’inquietudine profonda in tutto il corpo elettorale. Per questo è necessario ripartire dal Paese, dobbiamo tornare a trasmettere fiducia e speranza».

Ha pesato la litigiosità nel Pd?

«Certo, le divisioni non conquistano mai consenso. Così come l’immagine di un partito è data anche da come si presenta su scala locale. Il voto ci mette davanti a un nodo ormai ineludibile: c’è da ricostruire un rapporto di credibilità tra cittadini e partito territorio per territorio».

Renzi aggrega consensi ma anche dissensi, si veda il referendum costituzionale…

«Il 60% del fronte del no non si è aggregato per il carattere di Renzi ma perché c’era l’obiettivo politico di farlo cadere, cosa poi puntualmente avvenuta». 

Veltroni invoca un cambio di passo di Renzi. Anche nei toni?

«I toni e i modi naturalmente contano, ma il cambio di passo deve investire la nostra agenda. Per un anno la politica italiana ha discusso essenzialmente di riforma costituzionale, legge elettorale e alleanze politiche: temi importanti ma che non investono direttamente la vita dei cittadini. Cambio di passo significa discutere di crescita economica, creazione di posti di lavoro, disuguaglianze che la crisi ha accentuato, opportunità per i giovani».

E’ l’ora di tornare a una logica di coalizione?

«Non bisogna rovesciare i tempi: se discutiamo astrattamente della coalizione senza parlare del programma la discussione non porta da nessuna parte. Il Pd metta in campo l’elaborazione di un programma per il governo dell’Italia, apriamoci a un coinvolgimento largo della società, così si potranno verificare anche le convergenze».

Con Mdp è ancora possibile l’alleanza?

«Mettiamo in campo un programma e apriamo il confronto. La direzione del partito è il 10 luglio, spero da lì parta questa nuova marcia. Tutti si pronunceranno, compreso Mdp. Se ci sono convergenze si potrà fare un’alleanza, altrimenti no».

Prodi sta aiutando questo progetto o pecca di astrattezza?

«Prodi si è messo in gioco per unire, come un fattore di coesione. Del resto ha fondato prima l’Ulivo e poi il Pd. L’unica cosa che non può essere Prodi è lo sponsor di operazioni divisive, perché è da sempre l’uomo dell’unità non della divisione».

E Pisapia?

«Conoscendo Giuliano so che non ha mai lavorato per dividere».

Il Pd rischia nuove scissioni?

«Si è già visto che le scissioni non risolvono i problemi, li aggravano. Abbiamo tutti la necessità di avere toni ragionevoli e pacati. È evidente che la sconfitta brucia ma non è utile, di fronte a una difficoltà, farsi prendere dal nervosismo».