Fake news, Carrai: "Disinformazione da Guerra fredda"

L'esperto, renziano doc: "La moderna propaganda usa strumenti efficaci. Ma sul web lascia tracce"

Marco Carrai (Imagoeconomica)

Marco Carrai (Imagoeconomica)

Firenze, 27 novembre 2017 - La politica si annoda sulle fake news e serve un modo scientifico per difendersi da un fenomeno ormai dilagante. La chiave è nel funzionamento della Rete e la domanda va girata a Marco Carrai, che di cyber security è un esperto.

Le fake news sono pericolose?

«Sono la moderna propaganda. Quella che è sempre esistita. All’interno degli Stati, fra Stato e Stato, fra società private, nel marketing».

Ma sono dilagate con i social network. 

«Con la carta stampata avevamo una informazione di tipo verticale controllata da una authority qualificata, la tv ha allargato la platea, i social hanno una platea pressoché infinita e una diffusione di tipo orizzontale. Si autoalimentano». 

Che vuol dire?

«Prima chi voleva capire qualcosa sui vaccini leggeva sui giornali il report dell’Istituto superiore della sanità, cioè la fonte scientifica più accreditata. Oggi si cerca la conferma di convinzioni già formate. Chi è convinto che i vaccini facciano male digita su Google: i vaccini fanno male. Troverà centinaia di pagine che sostengono quella verità. Così si alimentano odio e paure». 

Ed è un sistema organizzato?

«Assolutamente sì. Come lo era ai tempi della Guerra fredda. Oggi usa strumenti molto più efficaci. L’autorità dell’informazione è stata pressoché distrutta e al suo posto si è creata un’ anarchia di livelli informativi che possono facilmente creare campagne politiche». 

Si può individuare chi immette false informazioni?

«Si possono individuare le impronte sui canali sui quali viene fatta pubblicità, per esempio attraverso AdSense, un servizio per sponsorizzare pagine particolarmente seguite. Le forze dell’ordine hanno maggiori possibilità di controllo quando ci sono rischi di reati. Poi ci sono i fact checking, i controlli veloci, che sia i giornalisti che le istituzioni possono fare. Sto pensando di creare una piattaforma basata sul natural language processing, tramite artificial intelligence per andare a mappare le notizie, ricostruire le interrelazioni e verificare se si sta trattando di bufala autoalimentata o se alla base c’è una fonte informativa di natura istituzionale. Tutto in open source naturalmente, cioè con algoritmi totalmente pubblicati». 

E come sfuggire alle accuse di censura? 

«La censura è porre limiti al pensiero personale. La base della democrazia è non porre limiti alle opinioni personali, è possibile però dare una corretta informazione cioè dati scientifici e oggettivi sui quali le opinioni vengono costruite». 

Sicuro che basti?

«No, non basta. È noto che sui social le persone tendono a stare nel proprio branco dove cercano conferme delle proprie convinzioni. Si possono confutare le informazioni, ma in queste persone il dubbio resterà. Serve anche una importante campagna di educazione, sia istituzionale che dal mondo del giornalismo qualificato. Troppo volte ho visto giornali che riprendono notizie false perché sono diventate virali: non è la viralità che fa la verità, è la verità che dovrebbe diventare virale».