Elezioni 4 marzo, come funziona il Rosatellum. La legge elettorale spiegata bene

Il vademecum sul nuovo sistema elettorale: le schede, i collegi, la ripartizione dei voti. Tutto quello che c'è da sapere a cura di ETTORE MARIA COLOMBO Movimento 5 Stelle, il video dell'esultanza. "Tutti dovranno parlare con noi" Elezioni 4 marzo 2018, la guida completa al voto Elezioni 4 marzo, le soglie di sbarramento. Chi entra e chi esce Elezioni 4 marzo 2018, il glossario di base Elezioni 4 marzo 2018, perché non si deve inserire la scheda nell'urna Elezioni 4 marzo 2018, come si vota. Schede, orari e documenti

Elezioni 2018, tutto quello che c'è da sapere sul Rosatellum (Imagoeconomica)

Elezioni 2018, tutto quello che c'è da sapere sul Rosatellum (Imagoeconomica)

Roma, 2 marzo 2018 - A un passo dalle tante attese elezioni politiche del 4 marzo 2018, studiamo la nuova legge elettorale con cui domenica andremo a votare. Ecco un esauriente dossier sul Rosatellum.

di ETTORE MARIA COLOMBO

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                                                                                                                 COS’È IL ROSATELLUM Il "Rosatellum" è il nuovo sistema elettorale in vigore in Italia, varato con la legge n. 165/2017. È un meccanismo elettorale cosiddetto "misto" perché assegna il 64% dei seggi in collegi plurinominali con metodo proporzionale e il restante 36% dei seggi in collegi uninominali con metodo maggioritario.  Dal punto di vista tecnico, si può definire un “Mattarellum rovesciato” perché prevede l'assegnazione dei seggi, sia alla Camera che al Senato, in proporzione quasi esattamente opposta (rovesciata) rispetto all'unica legge elettorale di tipo maggioritario con cui si è votato in Italia. Il Mattarellum (dal cognome dell'attuale presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, allora relatore della legge) prevedeva l'assegnazione del 75% dei seggi in collegi maggioritari a turno unico e il restante 25% su base o recupero proporzionale per i voti alle liste, cioè ai partiti, senza preferenze (il meccanismo funzionava in modo diverso tra Camera e Senato).

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Il nome del 'Rosatellum' viene dal cognome del capogruppo del Pd alla Camera dei Deputati, Ettore Rosato, che della legge è stato il relatore alla Camera. Nella Seconda Repubblica in Italia si è votato prima con il Mattarellum (elezioni del 1994, 1996, 2001), poi con il Porcellum o Calderolum (dal cognome dell'allora relatore, il leghista Roberto Calderoli), nelle elezioni del 2006, 2008, 2013: questo era un sistema basato su liste bloccate, premio di maggioranza alla prima lista o coalizione con più voti (senza soglia di accesso) e diverse soglie di sbarramento. Il Porcellum è stato dichiarato incostituzionale dalla Consulta (sentenza 1/2015). L'Italicum (un doppio turno con ballottaggio e premio al primo partito), varato nel 2015 dal governo Renzi, è stato cassato dalla Consulta (sentenza 1/2016) e non è mai entrato in vigore.

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COME FUNZIONA IL ROSATELLUM

Com'è fatta la scheda elettorale

Di fatto, il Rosatellum è un sistema proporzionale (al 64%), incentrato sul voto di lista, con una robusta correzione di voto maggioritario (al 36%), nei collegi uninominali, che diventa, di fatto, un premio di maggioranza 'mascherato' ma solo se un partito o una coalizione vince in molti collegi uninominali. Il tasso della cosiddetta 'disproporzionalità' è dunque dato da due canali: la soglia di sbarramento fissata, per tutte le liste o partiti, al 3% su base nazionale e la torsione maggioritaria data dalla possibilità, ove realizzata, di vincere un alto numero di collegi maggioritari. Questo tasso di 'disproporzionalità' del sistema elettorale viene calcolata dagli esperti intorno all'8% potenziale: la cifra è frutto della somma dei voti dati a partiti che non superano il 3% dei voti, voti che vengono redistribuiti tra i partiti che superano tale soglia, e la possibile vittoria in molti collegi maggiorati (stimata al 5%). Naturalmente, più sono presenti delle coalizioni e non liste singole nei collegi uninominali più è facile vincere il collegio. Il sistema, dunque, premia i partiti che si coalizzano, cioè si alleano in una coalizione, composta da più partiti, coalizione che va dichiarata al momento della presentazione delle liste, sfavorisce chi corre solo.

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Ma vediamo ora come sono distribuiti i collegi e le circoscrizioni.

La Camera dei Deputati, che assegna 630 seggi, è divisa in 28 circoscrizioni, per lo più regionali e, in alcuni casi, sub-regionali. Il Senato della Repubblica, che assegna 315 seggi (ve ne sono, in aggiunta altri sei corrispondenti a un presidente emerito e, ad oggi, cinque senatori a vita), è diviso in 20 circoscrizioni regionali.

Ma la 'nuova' divisione che stabilisce la legge è quella tra collegi uninominali (maggioritari) e collegi plurinominali (proporzionali).

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A) COLLEGI UNINOMINALI

Sono 232 (231 più un collegio uninominale unico per legge della Valle d'Aosta), su 630 seggi, i collegi uninominali assegnati alla Camera dei deputati. Non vengono dunque conteggiati, nel computo, i 12 seggi attribuiti alle circoscrizioni Estero ed eletti con metodo perfettamente proporzionale e con le preferenze. Sono invece 109, su 315, i collegi uninominali assegnati al Senato: sarebbero, in realtà, 116, ma vanno sottratti dal computo il collegio unico uninominale della Valle d'Aosta, i sei collegi uninominali del Trentino Alto-Adige e i 6 seggi delle circoscrizioni Estero eletti con metodo proporzionale e preferenze. Per ottenere il plenum del Senato (321) ricordiamo che vanno contati anche i 6 senatori a vita di cui si è detto prima.

B) COLLEGI PLURINOMINALI

Sono 386, su 630, i collegi plurinominali che vengono assegnati alla Camera dei Deputati con metodo proporzionale effettuato su base nazionale. Sono 193 i collegi plurinominali che vengono assegnati al Senato con metodo proporzionale su base regionale. Le circoscrizioni, ricordiamo, sono 28 alla Camera e 20 al Senato.

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LE SCHEDE PER CAMERA E SENATO

A) UNA SOLA SCHEDA ELETTORALE

La scheda elettorale è unica, anche se ovviamente sono due, una per ognuna delle due Camere (rosa per la Camera, gialla per il Senato) e rappresenta una novità per l’elettore italiano. Infatti, nel Mattarellum e nel Porcellum le schede elettorali erano due (una per la parte maggioritaria una per la parte proporzionale). L'elettore ha, dunque, a disposizione un solo voto, anche se – ovviamente – può votare in modo difforme tra Camera e Senato.

B) IL CANDIDATO NEL COLLEGIO UNINOMINALE

Ogni area politica presente in coalizione o come singola lista/partito è distinta, sulla scheda, in grandi rettangoli. All’interno di ogni area, si vedrà, ben visibile, in alto, lo spazio rettangolare con un unico nome: è quello del candidato scelto da ogni partito o coalizione in ogni singolo collegio uninominale.

C) I PARTITI NELLA PARTE PROPORZIONALE

Sotto l'indicazione del nome di ogni candidato di collegio, una serie di caselle indicano un nome e un simbolo di uno o più partiti, se in coalizione, che presentano, al loro interno, da due a quattro nomi del cosiddetto "listino bloccato". Le singole liste dei candidati di partito o di partiti in coalizione si presentano nel proporzionale a sostegno del singolo candidato di collegio.

D) DUE IMPORTANTI NOVITÀ

La prima della nuova scheda elettorale sono le "istruzioni per l’uso": si trovano nel retro della scheda e illustrano le modalità di voto per facilitare il più possibile la scelta dell'elettore. La seconda novità è il "tagliando antifrode": si trova su un lato della scheda, è ovviamente rimovibile e contiene un codice progressivo alfanumerico. Introdotto per combattere il «voto di scambio», l'elettore non può e non deve assolutamente rimuoverlo perché è un compito che attiene al presidente del seggio elettorale il quale, prima che la scheda venga introdotta nell'urna (compito che, anche questo, non spetta più all'elettore ma a presidente e scrutatori) controlla che venga staccato e coincida con la scheda elettorale.

4) COME SI VOTA

Il "mix" tra collegi uninominali maggioritari e collegi plurinominali proporzionali del Rosatellum permette all’elettore tre opzioni di voto apparentemente difficili, ma in realtà facili. Però, meglio fare attenzione a una sola regola. Infatti, il voto disgiunto è vietato: l’elettore non può votare un candidato nel collegio uninominale e una lista non collegata nel proporzionale.

A) L’elettore barra, sulla scheda, solo il nome del candidato del collegio uninominale. In questo caso, il voto si «trasferisce» automaticamente, e in modo perfettamente proporzionale (dal più grande al più piccolo) alla lista/partito o alle liste/partiti che lo sostengono nella parte proporzionale. La preferenza è vietata.

Dunque, se vi sono più partiti, a sostegno di una coalizione, il voto si 'spalma', in modo perfettamente proporzionale, a tutte le liste che lo sostengono in quella circoscrizione/collegio elettorale.

B) L’elettore traccia un segno solo sul simbolo della lista, o partito, che vuole sostenere contribuendo all'attribuzione dei seggi proporzionali alla lista scelta. Il voto dato al partito si 'trasferisce' automaticamente anche al candidato nel collegio uninominale sostenuto dalla lista o da più liste nella parte proporzionale. Questo metodo è indicato come il più “sicuro”, nel senso di impossibilità di un suo annullamento, da molti partiti presenti in questa competizione elettorale, ma è solo una delle modalità previste espressamente dalla legge.

C) L’elettore può tracciare un doppio segno, sia sul candidato nel collegio uninominale che su una lista che lo appoggia nella parte proporzionale. Il voto, anche se tecnicamente è chiamato 'doppio voto' è pienamente valido. Inoltre, anche se l'elettore barra uno dei nomi del listino bloccato di un partito e, contemporaneamente, il nome del candidato nel collegio uninominale il voto è considerato valido. Eppure, vi sono dei rischi che un presidente di seggio consideri tale modalità di voto un modo per farsi riconoscere (causa di nullità del voto) e che, quindi, un voto simile dia luogo a forme di contestazione all'atto dello scrutinio.

D) Attenzione. Il voto “disgiunto” non è valido. Il voto è considerato nullo, cioè non valido, se l’elettorale traccia due segni, ma ne appone uno sul nome di un candidato nel collegio uninominale sostenuto da una o più liste e uno sul simbolo di una lista, singola o in coalizione, a cui quel candidato non è collegato nella parte proporzionale (vale, ovviamente, anche viceversa). Questo voto, tecnicamente chiamato “voto disgiunto”, che rappresentava una possibilità di scelta nel Mattarellum, è esplicitamente vietato ora.

5) DOVE FINISCE IL VOTO

A) In ogni collegio uninominale vince, tra i diversi candidati presenti sulla scheda, appoggiati da un partito o una coalizione, quello che arriva primo, anche solo per un voto, su tutti gli altri. Dunque, tutte le sfide nei collegi uninominali (232 alla Camera e 109 al Senato) sono "one-to-one".

La logica è mutuata dal sistema maggioritario inglese, basato tutto su collegi uninominali maggioritari secchi, e viene detta del "the first past the post" (letteralmente, "il primo oltre il palo", termine dell’ippica) o del "the winner takes all" (il primo prende tutto). Nel caso di dimissioni del vincitore del singolo collegio, o di sua morte, vengono svolte, nei termini stabiliti dalla legge, e solo per quel collegio, elezioni supplettive per determinarne il successore.

B) I collegi plurinominali seguono un metodo di elezione perfettamente proporzionale, stante lo sbarramento nazionale fissato al 3% per ogni lista e al 10% per ogni coalizione, secondo il metodo detto “del quoziente intero e dei più alti resti”.

I nomi dei candidati (da un minimo di 2 a un massimo 4) presenti nei listini di ogni lista servono a determinare l'ordine degli eletti. I listini di ogni lista sono precostituiti, in gergo si dice 'bloccati': l'ordine di elezione è automatico, non sono ammesse le preferenze. Ogni candidato di una lista elettorale si si può presentare solo e soltanto in un collegio uninominale e fino a cinque collegi plurinominali (è il caso delle cosiddette “multicandidature”).

In caso di elezione in più collegi plurinominali, il candidato – stante che se è candidato nel collegio uninominale e lo vince viene eletto lì – verrà eletto nel collegio plurinominale dove la sua lista ha preso la percentuale minore di voti.

C) Ogni lista elettorale deve rispettare, nelle candidature, la cosiddetta "norma di genere". Ognuno dei due sessi, cioè, non può rappresentare più del 60% (e non meno del 40%) di tutti i candidati nei collegi uninominali. Anche nei collegi plurinominali va rispettata la «norma di genere» (60% di un sesso e 40% dell’altro) ma solo per quanto riguarda i capolista mentre la collocazione dei candidati nei listini bloccati deve rispettare soltanto l'ordine alternato di genere (uomo-donna o donna-uomo).

 

6) CHI ENTRA E CHI ESCE

A) SOGLIE DI SBARRAMENTO ESTERNE

Le soglie di sbarramento presenti nella legge elettorale sono due. La prima riguarda le liste singole che si presentano nella parte proporzionale: ognuna di esse deve superare il 3% a livello nazionale per ottenere seggi.

La seconda riguarda le coalizioni: ogni coalizione, composta cioè da più liste, deve superare il 10% e, al suo interno, vi deve essere presente almeno una lista che superi il 3%. In Trentino e in Valle d’Aosta la soglia di sbarramento, in nome del rispetto delle minoranze linguistiche in quelle regioni, è invece fissato al 20%.

 

B) SOGLIE DI SBARRAMENTO INTERNE

Esistono anche delle soglie di sbarramento interne alle liste che sostengono una coalizione. Sotto l’1%, una lista che sta in una coalizione non ottiene seggi per sé, ovviamente, né ne porta agli altri partiti coalizzati con essa. I suoi voti, cioè, vanno dispersi. Tra l’1% e il 3% dei voti, invece, la lista componente una coalizione non ottiene seggi per sé, ma contribuisce, con i suoi voti, ad aumentare i seggi dei partiti (o del partito) più grandi presenti nella sua coalizione. Sopra il 3%, ovviamente, la lista singola, in coalizione o meno che sia, ottiene seggi per sé stessa. Naturalmente, ove la lista sia in coalizione, aumento i seggi anche per la coalizione medesima, ma quei seggi sono della singola lista.

7) DAL VOTO AL SEGGIO

Come si traducono i voti in seggi? E' l'eterno problema di ogni legge elettorale. Bisogna, in ogni caso, partire dal fatto che Camera e Senato hanno composizione ed elettorato (attivo e passivo) diversi. In ogni caso, in entrambe le Camere sono presenti ben tre (quattro, in realtà, al Senato) diversi sistemi di elezione che comporranno gli scranni dei 630 deputati e dei 315 senatori che saranno eletti il 4 marzo 2018 con il Rosatellum.

A) CAMERA DEI DEPUTATI

Alla Camera (630 membri) siederanno 232 deputati eletti in altrettanti collegi uninominali maggioritari: 225 eletti in 18 regioni, più uno in Valle d’Aosta e sei in Trentino Alto-Adige. Gli altri 386 seggi della Camera sono assegnati con il sistema proporzionale (con il metodo del «quoziente intero e dei più alti resti») ai diversi partiti a seconda che superino lo sbarramento del 3%. 12 seggi restanti vengono assegnati alle Circoscrizioni Estero con metodo perfettamente proporzionale e l'uso delle preferenze.

B) SENATO DELLA REPUBBLICA

Al Senato (315 membri più sei senatori a vita) siederanno 116 senatori eletti in altrettanti collegi uninominali maggioritari: 109 eletti in 18 regioni, uno in Valle d’Aosta, sei in Trentino Alto-Adige. I restanti 193 seggi del Senato saranno assegnati con il sistema proporzionale e lo sbarramento al 3%, ma con un calcolo che, al Senato, viene effettuato su base regionale. In più vi sono i 6 seggi della Circoscrizioni Estero e i sei senatori a vita.

IL COSIDDETTO 'EFFETTO FLIPPER'

Mentre l'assegnazione dei seggi nei collegi uninominali è semplice e facile da capire (il primo vince il seggio), l'assegnazione dei seggi nei collegi plurinominali è, invece, molto complicata: parte dall'alto, stabilendo il numero dei seggi spettanti a ogni lista su base nazionale, e successivamente li ripartire prima nelle varie circoscrizioni e poi in ciascun collegio plurinominale, ovviamente calcolando solo liste superiori al 3% dei voti su base nazionale. Quando si scende dal livello nazionale a quello circoscrizionale, però, può verificarsi il cosiddetto “effetto flipper”, molto insidioso specie per la Camera dei deputati, e che può variare sensibilmente la determinazione degli eletti, o quantomeno ritardarne la scelta. Ma “l'effetto flipper” è talmente difficile da spiegare, oltre che da calcolare, che almeno questa specificità la risparmiamo al lettore...