Giovedì 18 Aprile 2024

Elezioni 2018, il ticket Pd è Renzi-Calenda. Intesa dopo il grande gelo

Il ministro: basta rottamare. "Anche un manager può stare a sinistra"

Matteo Renzi e Carlo Calenda (Ansa)

Matteo Renzi e Carlo Calenda (Ansa)

Milano, 15 gennaio 2018 - "Obiettivo governo": in Italia e in Lombardia. Al ‘Franco Parenti’ di Milano il Pd lancia la candidatura di Giorgio Gori al Pirellone. Ma in scena va in realtà una doppia pièce , e il titolo di giornata nasconde il tema più importante: la rinata convergenza – in mezzo a gag e baruffe – tra Matteo Renzi e Carlo Calenda, simbolica di un rinnovato patto tra il principale partito di centrosinistra e l’anima confindustriale di Impresa 4.0. Se non è un ticket, poco ci manca.

Renzi lancia Gori in Lombardia 

L’esuberante ministro dello Sviluppo economico, sponsorizzato da Renzi a posizioni di vertice e poi segnalatosi per crescente protagonismo e autonomia, mette a tacere il tam tam sul suo futuro riallineandosi al leader in potenziale rimonta. «Calenda aveva pregiudizi verso di me, pensando che fossi quello che veniva solo a rottamare, io avevo pregiudizi verso di lui pensando fosse il fighetto di Confindustria», spiega Renzi. Pace fatta? Parrebbe di sì. Non foss’altro per urgenze elettorali. «Calenda e io litigavamo anche prima, solo che prima le cose me le diceva per sms. Adesso ha scoperto twitter. Te lo buco questo twitter», punzecchia Renzi. «Il nostro candidato a Palazzo Chigi è il segretario del Pd. Lo statuto del Pd è molto chiaro. E io penso che sia giusto», riconosce Calenda, spiazzando l’ala gentiloniana e anche quella parte di centrodestra sedotta dal suo attivismo. Non a caso il capogruppo di Forza Italia Renato Brunetta invita il ministro ad autobacchettarsi «sui dossier Ilva e Alitalia». Troppo tardi. Calenda è già lontano. Pronto a iscriversi al Pd? «Non ancora, ma poi magari lo faccio», annuncia senza remore. «Il mio ruolo è dire le cose che penso e cercare di dare un contributo».

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Da battitore libero o da uomo di sfondamento? «Si marcia insieme, ma quando si condividono i contenuti», esemplifica Calenda, la cui strategia grandangolare appare animata da molteplici ambizioni e poderose sponde: dal titolare dell’Economia Pier Carlo Padoan, con il quale condivide l’approccio pragmatico all’agenda del Paese, alla leader radicale Emma Bonino, teleguidata al prezioso rifugio di Centro democratico, al segretario della Fim-Cisl Marco Bentivogli, con il quale ha appena firmato il Piano industriale per l’Italia delle competenze. La sintesi: non esistono «sviluppo, reddito e benessere senza investimenti, imprese e lavoro». Ai malati di slogan, una fosca profezia: «Le scorciatoie conducono a vicoli ciechi e non di rado a burroni».

Esaltazione delle competenze, definizione delle priorità, gestione delle trasformazioni e della complessità: ecco i punti irrinunciabili secondo il ministro. E se il Pd ritroverà il suo appeal, Calenda si candida a un bis in prima linea. Anche per combattere «l’idea identitaria e antropologica per cui se uno ha fatto il manager non può essere di centrosinistra». «Noi siamo stati il governo della costruzione e non della rottamazione», rivendica dal palco.

«Non è tempo di rottamazione, ed è bellissima questa idea di costruzione, ma tutti noi sappiamo che se non ci fosse stata una fase in cui si è parlato con forza di rottamazione, la classe politica ora sarebbe sempre la stessa e questo palco sarebbe diverso», contestualizza Renzi descrivendo uno scenario sgradito: i Cinquestelle sono «l’incompetenza elevata a elemento di orgoglio», nel centrodestra «laddove c’era Fini adesso c’è la Meloni, dove c’era Bossi in canotta adesso c’è Salvini in felpa, e dove c’era Berlusconi c’è Berlusconi».

L’ex premier indica la rotta: «La speranza contro il rancore. C’è bisogno di un leader. Lo ha fatto Milano, lo deve fare la Lombardia e lo deve fare il Pd, altrimenti non lo fa nessuno perché dall’altra parte ci sono quelli che puntano a riscrivere il passato parlando dei cinque colpi di Stato o delle dentiere. Dobbiamo indicare un orizzonte che sia un grande sogno e impegno quotidiano. Faremo un elenco di 100 punti», è la misurabile promessa, davanti a un benedicente Beppe Sala. «Voglio che Gori diventi il presidente della Regione Lombardia», proclama il sindaco di Milano. Il candidato governatore ringrazia: «Sarà una sfida combattuta. E noi la vinceremo».