Elezioni 2018, il programma di Liberi e Uguali: dall'articolo 18 ai soldi pubblici

Le ricette sul lavoro di Grasso & Co vogliono smontare le riforme più recenti

Pietro Grasso, leader di Liberi e Uguali, in visita alla Garbatella (ImagoE)

Pietro Grasso, leader di Liberi e Uguali, in visita alla Garbatella (ImagoE)

Roma, 14 gennaio 2018 - Cancellazione del Jobs Act. Ma anche della non nominata legge Biagi e magari qualche pezzo del pacchetto Treu del primo governo Prodi. Con il ripristino integrale dell’articolo 18, una drastica stretta sui contratti a termine, l’eliminazione o la riduzione al minimo di ogni altra formula contrattuale precaria o flessibile, compreso il part-time. E, al contrario, con il lancio di un mega piano di assunzioni nel pubblico impiego, la riduzione dell’orario a parità di salario (le famose 35 ore). Addirittura l’obbligo per le imprese private di stabilire un tetto agli stipendi dei manager. Insomma, manca solo il ripristino della vecchia "scala mobile" abolita dal decreto Craxi (con il referendum che confermò la scelta e spaccò la sinistra e il sindacato). Per il resto, il programma sul lavoro di Liberi e Uguali sembra preso in toto da qualche documento del Pci o della Cgil degli anni Settanta-Ottanta. In sostanza, si chiede, anche nel linguaggio usato, di riavvolgere la pellicola delle riforme degli ultimi decenni e, in una sorta di ritorno al futuro, riportare le regole del mercato del lavoro al tardo Novecento inoltrato.

Il presupposto del programma del movimento di Grasso è che «la via maestra per la redistribuzione della ricchezza è quella della piena e buona occupazione, da garantire attraverso un piano straordinario per il lavoro e gli investimenti, che inverta radicalmente una politica economica fondata su bonus e sconti fiscali». Non basta: «Crediamo sia indispensabile tornare a investire sul lavoro pubblico, con lo sblocco del turnover». E già questo è un ritorno alle politiche del compromesso storico modello Prima Repubblica: una valanga di miliardi di spesa pubblica aggiuntiva. Ma siamo anche ben oltre. «Da troppi anni il ricatto della precarietà ha eroso la civiltà del lavoro», la premessa. Dunque: «È quindi necessario intervenire con decisione, superando il Jobs Act e tutte le forme contrattuali che alimentano il peggiore sfruttamento. La nostra proposta è tornare a considerare il contratto a tempo indeterminato a piene tutele, con il ripristino dell’articolo 18, come la forma normale di assunzione».

Non basta: bando al lavoro a termine. Possono essere utilizzati il «contratto a tempo determinato e il lavoro in somministrazione, esclusivamente con il ripristino della causale, che giustifichi la necessità di un’assunzione a scadenza. Va superata, di conseguenza, la giungla di forme contrattuali precarie introdotte nell’ultimo ventennio, che decreto Poletti e Jobs Act hanno contribuito a rafforzare». Ma la ricetta d’antan va oltre: si va dal contrasto dei cosiddetti «falsi contratti part-time» all’aumento del costo degli straordinari, fino all’applicazione integrale del contratto collettivo di lavoro nazionale, «senza alcuna possibilità di deroga». Per non parlare delle sanzioni alle imprese che delocalizzano, del no agli accordi internazionali di libero scambio, la riduzione «ineludibile» dell’orario di lavoro a parità di salario, fino alla previsione di un tetto agli stipendi dei manager privati. Alla fine, una postilla in stile anni ’70: «I benefici derivanti dalla maggiore produttività devono essere un patrimonio collettivo e non un extraprofitto per le imprese».

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