Elezioni 2018, candidature Pd. Casini a Bologna, Boschi a Bolzano

Il sottosegretario sfiderà la Biancofiore col paracadute proporzionale. Rivolta nelle federazioni di Toscana e Emilia, dove gli ‘esterni’ ingolfano le liste

Pier Ferdinando Casini e Matteo Renzi in Parlamento

Pier Ferdinando Casini e Matteo Renzi in Parlamento

Roma, 24 gennaio 2018 - Prima il caso Casini. Poi il caso Boschi. In mezzo, il caso territori in rivolta. Ieri, per Matteo Renzi, è stata una giornata pesante. Asserragliato al Nazareno con i suoi fedelissimi, che con una mano compulsano i sondaggi (in lieve ripresa) e, con l’altra, gli sottopongono le liste elettorali, Renzi ha dovuto dirimere i tre nodi. Si parte, in vista della direzione di venerdì prossimo, con i collegi uninominali, sul tavolo, poi si passerà al capitolo listini proporzionali. Renzi ammette anche in pubblico (ieri era a Zapping, Radio 2) che «il programma è pronto, le liste no», ma incita così i suoi: «Con il 24% siamo a un’incollatura dai 5Stelle. Possiamo arrivare davanti e diventare il primo partito italiano». 

Il guaio è che «con il 24% prendiamo – spiegano al Nazareno – 50 collegi sicuri alla Camera e 25 al Senato». Fa, in totale, 75/80 collegi sicuri. E sono davvero pochi. Certo, al Nazareno hanno diffuso, nei giorni scorsi, previsioni ben più terrorizzanti (solo 28 collegi), ma per fare «terrorismo psicologico» verso le pretese di nanetti, alleati e minoranze (solo Orlando ne chiede 40 ed Emiliano 20...).

Ed eccoci ai tre casi del giorno. Il primo è la sollevazione della base e dei vertici Pd bolognese contro la scelta di Renzi di far correre Pierferdinando Casini, ex leader dell’Udc, nel collegio uninominale di Bologna 1 Senato in quota «Civica e Popolare» (Lorenzin). Il Nazareno propone a Casini di spostarsi su Parma o di restare a Bologna, ma andando alla Camera. Il problema, per il Pd, non è la concorrenza del candidato di centrodestra (Palmizio) o di quello M5S, ma di Vasco Errani (LeU): un nome che fa paura ai dem. Casini, di prima mattina, alza il telefono e chiama Renzi. Furibondo, gli spiega che «se il collegio non è quello, pattuito da tempo, di Bologna, non vado da nessuna parte. Ho una storia, chiedo rispetto. Allora, non mi candido proprio».   Renzi, sottoposto al pressing, cede. Chiama il Pd felsineo e spiega che «a Bologna 1 è Casini il nostro candidato al Senato. Punto». A ruota arriva il caldo (e pubblico) invito di Franceschini a «chiudere ogni polemica o resistenza su Casini o altri esponenti alleati, candidati comuni nei collegi».

Divampa, però, ancora, il caso Boschi. Prima doveva essere candidata solo in un collegio uninominale, poi solo in più listini bloccati. Ieri, arriva la quadratura del cerchio: l’ex ministra, che nessuna regione rossa vuole in carico, vince un collegio stra-sicuro, quello di Bolzano, dove la Svp – che, storicamente, si allea sempre con il Pd – la fa da padrone e dove, come si sa, si parla e si vive da tedeschi. Ergo, l’elezione è sicura, ma Meb avrà di fronte un osso duro: Michaela Biancofiore, amazzone altoatesina del Cav. Comunque, Boschi correrà anche in un paio di listini proporzionali, ma al Sud: Campania e/o Sicilia.    L’ultima rivolta, quella dei territori, è finita male per questi ultimi. Certo, in Emilia, almeno i capilista al proporzionale saranno due ex Ds (Fassino alla Camera e la Cantone al Senato, che avrà anche un collegio a Bologna), nelle Marche Minniti è stato accolto di buon grado nel collegio di Pesaro-Urbino e Gentiloni pure (sarà capolista nel listino), ma in Toscana c’è l’overbooking. Il segretario regionale, Dario Parrini, renziano di ferro, nega ogni dissidio, ma la sua terra si dovrà sobbarcare, oltre all’intero giglio magico, la Lorenzin a Prato, Toccafondi (uomo di Cl) a Firenze, Nencini o Bonelli (l’altro andrà alle Marche) nel Mugello, storico collegio in cui fu spedito Di Pietro. Il quale fu regolarmente eletto, si capisce.