Marmo
insistito plauso di Giorgia Meloni e Antonio Tajani per l’incarico affidato a Mario Draghi da Ursula von der Leyen è certamente il segno di un rapporto che viene da più lontano. Ma è anche il segno della volontà di marcare la differenza da parte del governo con il ruolo e l’azione del commissario Paolo Gentiloni.
La presidente della Commissione europea tira fuori l’asso dalla manica dell’ex numero uno della Bce (oltre che ex di tante altre cose, a cominciare da Palazzo Chigi e Palazzo Koch) anche per tentare di mediare tra Roma e Bruxelles in settimane che vedono la tensione al massimo livello tra le due capitali. La missione affidata a Super Mario è di quelle che solo il Signor "Whatever it takes" può provare a svolgere con efficacia: studiare come ridare slancio e competitività al Vecchio Continente.
Ma, al di là degli aspetti economici, quello che più conta è il valore politico della nomina. Da un lato, perché può essere foriera di altre nomine per Draghi più strutturali e strutturate (a cominciare dalla presidenza della stessa Commissione o del Consiglio d’Europa). Dall’altro, perché in Italia finisce per rimbalzare, se non come un successo del governo Meloni, certo come una novità molto ben vista dalla premier e dall’ala più moderata dell’esecutivo, capeggiata dal ministro degli Esteri. E, per uno di quei giri strani che caratterizzano le coincidenze della politica, Draghi diventa "anche" l’antagonista di Gentiloni. Tant’è che, non a caso, la Meloni parla di Draghi come di un personaggio autorevole che avrà un occhio di riguardo per l’Italia e Tajani di una risorsa per l’Italia che farà bene.
Al dunque, però, quello che conta è il ritorno in campo di una delle più insigni e influenti personalità della politica europea e internazionale: una riserva non solo della Repubblica, ma dell’intera Europa. E non c’è altro da fare che rallegrarsi.