Mercoledì 24 Aprile 2024

La partita di Draghi: raffica di incontri a vuoto. Si gioca tutto in Senato

Il Colle ha chiesto al premier di ammorbidire i toni ma lui vuole dettare le condizioni. Saranno le reazioni al discorso a Palazzo Madama a determinare l’esito

Mario Draghi al Quirinale

Mario Draghi al Quirinale

Il sogno di arrivare all’appuntamento odierno in aula con una soluzione già prefigurata è svanito. Tutto si gioca a Palazzo Madama (si inizia alle 9,30) e molto dipenderà da come metterà le cose Mario Draghi, moltissimo da come reagiranno i partiti. Le pressioni dell’opinione pubblica, delle capitali internazionali e del capo dello Stato hanno avuto effetto: il premier è ampiamente disposto a ritirare le dimissioni, persino a rimangiarsi la caustica affermazione secondo cui "non c’è governo senza M5s". La disponibilità non va confusa con la cedevolezza: il premier non intende proseguire con l’esperienza a Chigi se il prezzo è tornare al punto di partenza, magari con le forze di maggioranza impegnate in una serie di partite a braccio di ferro. Dunque i toni saranno fermi, improntanti a una logica precisa: non sono i partiti a pretendere concessioni da lui, è lui che reclamerà chiarezza dagli altri.

Esemplare ciò che è successo alla vigilia. Contrassegnata non solo dalla telefonata con il presidente ucraino Zelensky, ma da una girandola di incontri. In mattinata ha visto Mattarella che gli ha consigliato di misurare i toni e di non picchiare troppo duro nè sui 5stelle nè sulla destra.

Il capo dello Stato sa quanto fragile sia la situazione ma sa anche di non poter condizionare granchè Draghi, tanto più che a offrire una generosa retromarcia è proprio lui. Poco dopo, Enrico Letta varca il portone di Palazzo Chigi: un faccia a faccia imprevisto, diplomaticamente goffo, che manda su tutte le furie il centrodestra e porta il nervosismo alle stelle. Il segretario del Pd, che racconta di averlo trovato "bene, molto determinato e focalizzato sulle cose da fare" insiste perchè non sia troppo severo con i grillini, prospettando un quadro nel quale non solo Conte voterebbe la fiducia ma resterebbe nel governo. Batte sul ritiro delle dimissioni con ogni tipo di argomento inclusa la prospettiva del Qurinale, obiettivo al quale Draghi non ha del tutto rinunciato.

Difficile indovinare la reazione di Draghi alla sterzata: sino a poche ore prima, sperava in quella scissione dei grillini che gli avrebbe permesso di muoversi oggi con maggior agio. L’incontro scatena le ire dei leader di centrodestra riuniti a villa Grande: "Mi telefona solo se gli serve qualcosa", si sfoga Berlusconi. Unanime il coro: "O non sa fare il suo mestiere o pensa di essere il leader del campo largo". Draghi prova a metterci una pezza telefonando a Silvio, subito dopo la delegazione parte alla volta di Chigi. Stavolta ci sono pochi dubbi su come l’ex presidente della Bce ha accolto la raffica di condizioni: espulsione di M5s dalla maggioranza, una lista di provvedimenti fatta per umiliare M5s, e la richiesta di votare a marzo. Se oggi restano le stesse, ogni strada sarà preclusa. Ma a orientare il dibattito sarà lui che dovrà vedersela con un quadro in fibrillazione. I partiti arriveranno in aula con i coltelli sguanati. Basti pensare che alla domanda di Draghi ai capi della destra, "voterete la fiducia?", Salvini & co. hanno risposto "dipende". La possibilità di salvare il governo e la legislatura dipende dalla sua capacità di trovare un difficile equilibro tra disponibilità e irrigidimenti.