Draghi, dimissioni irrevocabili: perché è caduto il governo

I presidenti di Camera e Senato al Quirinale, poi Mattarella ha sciolto le Camere. Elezioni anticipate il 25 settembre

Roma, 21 luglio 2022 - Dimissioni irrevocabili. Mario Draghi è salito oggi al Colle, dopo uno scarno intervento alla Camera. "Vado al Quirinale a comunicare le mie determinazioni", ha detto stamattina all'Aula sereno e senza nascondere un filo di commozione (Video). Certe volte anche il cuore dei banchieri centrali viene usato", ha ammesso mentre l'Aula gli tributava uno scrosciante applauso. La strada era già segnata: Mattarella, molto attento alla prassi istituzionale, ha convocato i presidenti di Camera e Senato per verificare che non ci fossero soluzioni alternative alle elezioni anticipate. Fico e Casellati sono saliti al Colle, dopodiché il presidente della Repubblica ha sciolto le Camere. 

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Nessun colpo di scena dell'ultimo minuto, quindi. E poco conta che Mattarella abbia chiesto a Draghi di rimanere in carica per gli affari correnti. In Parlamento c'è un Ddl Concorrenza da approvare nell'ambito delle riforme del Pnrr, fondamentale per ricevere i fondi dall'Europa. Il testo sarà in Aula lunedì, si procederà stralciando la norma sui Taxi, così da evitare implicazioni politiche. 

Per il resto, la strada è tracciata. Le elezioni si indicono con decreto del governo entro 70 giorni dopo lo scioglimento del Parlamento, quindi la data prescelta è il 25 settembre, anche se ricorre una festività ebraica. Se Mattarella non avesse sciolto subito le Camere, altre due erano le date in ballo per le elezioni anticipate: il 18 settembre e il 2 ottobre. L'urgenza è quella di andare alle urne il prima possibile, perché c'è la legge di bilancio da approvare entro fine anno per evitare il cosiddetto esercizio provvisorio. 

Perché il governo è caduto

La scelta di andare al voto è stata obbligata. Mattarella ha sempre lasciato intendere che il governo Draghi sarebbe stato l'ultimo della legislatura. Che la crisi fosse imminente lo si è capito la settimana scorsa, quando giovedì 14 luglio il Movimento 5 Stelle non ha votato la fiducia sul Dl Aiuti (qui le ragioni del no dei grillini). Draghi è salito quindi al Quirinale a rassegnare le dimissioni, respinte da Mattarella. Il premier aveva detto e ribadito a più riprese che non ci sarebbe stato governo senza i Cinque Stelle. E questo, come ha spiegato nel comunicato con cui annunciava la sua scelta, perché usciti i grillini non ci sarebbero state le condizioni per realizzare il programma. Una questione politica, quindi, dal momento che l'esecutivo non ha mai perduto la fiducia dell'Aula. Neanche ieri in Senato. 

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Ma il Colle giovedì scorso ha rimandato comunque Draghi alle Camere, programmando una verifica per mercoledì 20 luglio. Si è aperta così una settimana scarsa di contatti e trattative frenetiche per evitare la crisi di governo. Conte ha chiesto "un segnale chiaro" al presidente del Consiglio per ripartire nell'azione governativa. I nervi scoperti erano sempre quelli: Superbonus, reddito di cittadinanza e rigassificatore di Roma. Il centrodestra ha subito fatto capire che con il M5s non c'erano le condizioni per andare avanti.

Ieri la resa dei conti al Senato, con il discorso di Draghi (ecco perché ha fatto infuriare la Lega) che non solo non ha fatto cambiare idea i grillini, ma ha anche irritato Salvini e Berlusconi. Che hanno chiesto "un nuovo patto" senza i parlamentari di Conte, presentando una risoluzione a prima firma Calderoli. Ma il premier non si è mosso di una virgola dalle sue posizioni e nella secca replica a Palazzo Madama ha chiesto la fiducia sulla risoluzione Casini. Che recitava testualmente: "Ascoltate le comunicazioni del Presidente del Consiglio, il Senato le approva". Il governo ha ottenuto la fiducia con 95 sì e 38 no, M5s, Fi e Lega non hanno partecipato al voto. La maggioranza di unità nazionale è venuta quindi meno e di conseguenza la condizione che Draghi aveva posto per continuare il suo mandato. Inevitabili, quindi le dimissioni. Questa volta irrevocabili.