Giovedì 18 Aprile 2024

Di Maio fa retromarcia: non sarò vicepremier

"Il Pd ha rinunciato, il problema non esiste più". Ma è scontro su Di Battista ministro

Luigi Di Maio

Luigi Di Maio

Roma, 3 settembre 2019 - La trattativa si sblocca alle sette di sera. Quando Di Maio torna a far rotolare la palla in campo annunciando su Facebook che non sarà vicepremier: "E’ un problema che non esiste più". Determinante non tanto il pressing dei democratici, quanto l’intervento a gamba tesa di Beppe Grillo: difficile, per il Movimento, sorvolare sulle parole del padre fondatore che di buon mattino pungolava Luigi a mollare per strada quei "20 punti della Standa" puntando sul cambiamento. Un rigore a porta vuota: ne è consapevole il capo politico M5s. Si confronta con gli altri big pentastellati, riunisce i suoi a Palazzo Chigi, parla con il premier. "Serve un posto centrale per Di Maio", scandisce Di Stefano all’ora di pranzo. E’ il segnale che qualcosa è cambiato. Almeno dietro le quinte: perché apertamente tutto tace. L’assenza di dichiarazioni ufficiali tanto di Di Maio quanto di Conte innervosisce i vertici del Pd. Delrio e Marcucci – all’ora del tè – ne chiedono direttamente conto al premier incaricato nella riunione sul programma a Palazzo Chigi. Lui li rassicura: "Ne parlerà in video tra poco Di Maio". Ed in effetti, Luigi fa il passo di lato tanto atteso, tirando pure qualche colpo ai futuri alleati. C’è da dire che non esce poi così sconfitto dal braccio di ferro, tanto più se conquisterà un ministero di primo piano che il movimento reclama. Resterà comunque capo della delegazione pentastellata.

Tutto risolto? In realtà il suo video comizio e il laconico comunicato di risposta di Zingaretti confermano che restano alcune ambiguità su cui si basa l’accordo di maggioranza. C’è quella sulla continuità: "La garantisce Conte, ed è quello che chiedono gli investitori, il mondo economico internazionale". Ma anche quella sul ruolo dello stesso premier incaricato. Di Maio ripete per l’ennesima volta che è "super partes", mentre il Pd la pensa all’opposto. A fischiare il termine di questa partita ci pensa l’avvocato di Foggia, negando ogni appartenenza al Movimento. Tutto ciò significa che è con un bellicoso Di Maio che i democratici dovranno avere a che fare nel governo e non con il più malleabile Conte.

Ultimo macigno sulla strada dell’esecutivo giallo-rosso è il voto su Rousseau: la consultazione odierna è determinante non solo per la creazione dell’esecutivo, ma pure per gli equilibri interni del Movimento. Un particolare che non sfugge a Di Maio, il quale apre all’accordo con il Pd pur senza esporsi con una indicazione di voto netta.

Dal numero dei sì e dei no si capirà se è ancora Grillo a fare il bello e il cattivo tempo. Da notare, peraltro, che le vicende interne dei cinquestelle sono destinate a condizionare non solo il percorso dell’esecutivo ma l’intero quadro politico visto che per la prima volta si è scatenato un conflitto vero nel Movimento. Al Nazareno – per dire – non hanno preso bene l’ipotesi di un eventuale ministero per Di Battista: il braccio di ferro sulla squadra (continuato in serata a Palazzo Chigi dove sono andati Franceschini e Orlando) andrà avanti finché Conte non salirà sul Colle: qualcuno ipotizza già stasera. Intanto, stamani si chiude sul programma: nell’intesa anche una legge proporzionale, di cui però non sono chiari i tempi. Superate le rapide della consultazione online, ci sarà il giuramento sul Colle e il voto di fiducia. Per la prima volta anche Leu si è seduta al tavolo della trattativa: preludio all’allargamento della maggioranza al Senato e a un probabile ingresso al governo. Sì, perchè i 4 senatori di Leu se ne portano dietro dal gruppo misto altri sei o sette